Agenzia delle Entrate: le poltrone di Befera senza concorso

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C’è sempre una poltrona da dirigente per gli “amici” dentro la Pa. Alla faccia dei concorsi che andrebbero fatti per legge e invece vengono regolarmente aggirati. Alle agenzie fiscali per esempio, e soprattutto all’Agenzia delle Entrate, affidiamo gran parte delle nostre speranze che una efficace lotta all’evasione possa portare sollievo ai contribuenti onesti, schiacciati ormai da un fisco insostenibile. Peccato che il buon funzionamento di un organismo così importante sia compromesso da metodi di reclutamento che sono già stati bocciati dalla giustizia amministrativa.
Due sentenze del Tar del Lazio del 2011, infatti, hanno bacchettato il potentissimo (e discusso) direttore delle Entrate Attilio Befera per il ricorso a 767 funzionari non dirigenti che coprono altrettante posizioni dirigenziali. 
Il Comitato di gestione dell’Agenzia aveva modificato ad hoc il Regolamento di amministrazione per poter effettuare le assunzioni considerate poi illegittime dai giudici. Ma la magistratura amministrativa ha bocciato il ‘ritocchino’ regolamentare e ha condannato la pratica delle chiamate senza concorso perché violano le norme del dlgs 165/2001 e non tengono conto della necessaria verifica dei requisiti di professionalità dei nominati.
 Si sperava che il governo Monti, tra tante nefandezze compiute, potesse raddrizzare il legno storto.
Ma, come sempre accade in Italia, fatta la legge, trovato l’inganno. E così una manina ha inserito nel dl 16/2012 una piccola disposizione che salva dalla tagliola dei concorsi gli incarichi “già affidati”.
 Le agenzie fiscali possono prescindere dai concorsi quando si tratta di garantire la loro efficienza in stato d’emergenza? Ok, ma allora perché non rispettare il dpr 266/1987 che, in attesa del concorso per la posizione da coprire, prevede la reggenza del funzionario più elevato in grado, senza retribuzione dirigenziale? Perché non si è tenuto conto, in prima battuta, delle professionalità interne?
 Befera ha nominato tra l’altro una cinquantina di dirigenti presi dall’esterno e con stipendi superiori a quelli in organico. Il burocrate diventa autocrate e gestisce la cosa pubblica come se fosse cosa propria. Con quali criteri li ha scelti? Perché 34 di questi incaricati sono soltanto diplomati, mentre altri sono laureati in pedagogia, lettere o politiche agricole?
 E’ così che si garantisce l’efficienza delle agenzie fiscali? Quelle deputate a scovare 150-180 miliardi di tasse non pagate che gravano su questo Paese? E cosa fa il ministero dell’Economia, cui spetta per legge (300/1999) la vigilanza su questi organismi?
Le nomine illegittime sono ora all’attenzione del Consiglio di Stato che nel frattempo ha mandato i documenti alla Corte Costituzionale. La Consulta boccerà a sua volta le pratiche di Befera e la sanatoria targata Monti? Lo speriamo.
Intanto si consuma lo scempio delle fusioni tra agenzie fiscali volute dalla spending review del governo Monti. L’Agenzia delle entrate deve farsi carico di integrarsi con l’Agenzia del territorio, due strutture completamente diverse per cultura e impostazione di lavoro. Entrate e Territorio sono le strutture nelle cui mani è il contrasto alla evasione fiscale che sarà decisivo soltanto se sostenuto a pieno regime di funzionalità.
Mentre i Monopoli di Stato e l’Agenzia delle dogane hanno in comune soltanto il tema accise sui tabacchi; dunque il caos è una prospettiva inevitabile. Tra l’altro il governo Monti non accettò le decisioni assunte dalle commissioni Finanze e Bilancio delle due Camere di rinviare una tematica che aveva bisogno di maggiore approfondimento. Morale? Le fusioni rischiano di compromettere l’efficacia della lotta all’evasione fiscale, tanto che persino i tecnici del Mef ne hanno evidenziato le criticità. 
In più l’integrazione tra Aams e Dogane non porta alcun risparmio perché i dipendenti dei Monopoli chiedono l’adeguamento economico per allinearsi agli stipendi dei colleghi delle Dogane (spesa stimata pari a 10 milioni di euro).
Le fusioni si proponevano un risparmio di spesa, il risultato che ne sta derivando è misurabile soltanto in termini di un pesante ingolfamento del lavoro e di un enorme disagio per i cittadini utenti dei servizi ipo-catastali.
Ma c’è di più: in tutti i paesi dell’Ue l’ente accertatore non si identifica con l’ente impositore. Quindi è un’anomalia solo italiana racchiudere accertamento, imposizione, sanzione e riscossione in un solo organismo. In tal modo si sconfessa persino la giustizia amministrativa: quando infatti si decise il decentramento degli enti locali, il Tar del Lazio stabilì che i comuni, come enti impositori, non potevano garantire un’indipendenza nella stima degli immobili, in quanto interessati ad avere maggiore gettito da stime più alte. Analogo è il discorso Entrate-Territorio, per cui riscossione e stima fanno capo allo stesso soggetto in modo improprio.
Lo scempio si sta consumando ad opera dei partiti del sistema e nell’indifferenza dei media. Il M5S continuerà a utilizzare tutti gli strumenti legislativi per sanare quello che suona come un vero e proprio abuso di potere, perpetrato ai danni dei cittadini che pagano le tasse.