Sorgenia: vogliamo lo stop all’aiutino di Stato per De Benedetti

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Il MoVimento 5 Stelle mette il dito nella piaga del conflitto di interessi tra politica e affari che infesta il settore dell’energia e che blocca un reale sviluppo delle rinnovabili. I protagonisti? Sorgenia, azienda indebitata di Carlo De Benedetti che è anche la tessera numero 1 del Pd renziano che a sua volta guida il governo. E il cerchio si chiude.

Si sente puzza di aiuti di Stato al colosso con i piedi d’argilla dell’Ingegnere, un player che punta ancora sulle fonti fossili e che, a causa della crisi di domanda di energia, ha un buco da 1,9 miliardi. Le banche hanno il fiato sul collo di Sorgenia, il socio austriaco Verbund non vuole metterci soldi e nemmeno De Benedetti vuole ricapitalizzare, in linea con la migliore tradizione del nostro capitalismo straccione. Meglio allora attaccarsi alla solita gonna stracciata dello Stato grazie all’anacronistico incentivo pubblico che risponde al nome di ‘capacity payment’. Un “aiutino” per la cosiddetta capacità di riserva (ti remunero per tenere le centrali quasi sempre spente) che risale a una norma del 2003 e che ora il patron di Repubblica vorrebbe veder lievitare, secondo indiscrezioni, da 150 a 600 milioni di euro.

In aula, con un’interrogazione al governo, M5S ha fatto notare che il “tendenziale calo dei consumi, a partire dal 2008, probabilmente ha una natura strutturale” e che deriva anche da una auspicata efficienza energetica. Sorgenia, però, ha puntato sulla tecnologia del ciclo combinato a gas e, foraggiata generosamente dalle banche, sulle centrali a turbogas. Quindi ha creduto ancora nelle fonti fossili: una scelta di cui oggi paga le conseguenze in termini di fatturato e di bilancio.
”Peccato che in soli cinque anni il mercato energetico, anche a causa della crisi economica, si sia drasticamente trasformato con il boom delle rinnovabili – ha fatto notare il M5S in aula – Risultato? Il parco centrali di De Benedetti si è trovato fuori mercato”. Ora le banche non sono più generose come un tempo e dunque il destino di Sorgenia sembra segnato.
Con il decreto legislativo 379/2003 è stato però istituito il famigerato ‘capacity payment’, che allora poteva avere un senso perché la struttura del mercato italiano vedeva margini ridotti nella distanza tra domanda e offerta dell’energia, e ciò avrebbe potuto generare interruzione del servizio. Quindi, dieci anni fa, un motivo alla base potenzialmente poteva esserci.
Oggi non è così.
Ora il rischio è che la finestra di aiuto che potrebbe essere aperta in favore di Sorgenia porterebbe a un effetto a cascata in grado di liberare tutti gli investitori, o buona parte di essi, dal peso di investimenti simili, con la creazione di una ‘bad bank’ (sulla falsariga di quanto è successo per Alitalia) che andrebbe a raccogliere 12.500 megawatt di centrali elettriche a gas, per poi chiedere allo Stato 250 milioni di euro di sovvenzioni. 
Questo modello ‘bad bank’ può costituire un vero e proprio aiuto di Stato in favore di Sorgenia? 
Il governo, in aula, ha risposto in modo vago e incerto. 
Noi non possiamo pensare che il panorama delle rinnovabili, dal 2003 ad oggi, non abbia stravolto il fabbisogno di energia di questo Paese: lo ha stravolto, completamente. E non possiamo accettare che le misure di remunerazione della capacità “debbano condurre all’artificioso mantenimento in funzione di centrali inefficienti grazie ad un sostegno pubblico o alla realizzazione di nuova capacità non necessaria”.

Diamo dei numeri, però, e facciamo riferimento all’ormai notissimo Cip6: dal 2001 al 2008 gli incentivi pubblici sono costati 36 miliardi di euro; dal 2009 al 2020 sono costati altri 30 miliardi di euro. Totalmente siamo a 66, ma purtroppo abbiamo perso il conto dal 1992 al 2000, perché, in quel caso, non c’era il Gse che controllava, non era ancora stato istituito. Quindi immaginiamoci quanti soldi sono stati dati a questo sistema di sostentamento delle fossili.

Per il M5S bisogna estirpare i conflitti di interessi. Ma gli obiettivi cardine nel settore energetico sono rinnovabili da una parte e smart grid dall’altra: “Si deve partire da un principio: la produzione diffusa e non centralizzata. Tanti impianti energetici diffusi sul nostro territorio. Sarà necessario favorire quegli scambi locali energetici tra produttori e utilizzatori di energia”.