Informativa di Alfano sul terrorismo – Il discorso di Angelo Tofalo

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Grazie Presidente
Chiedo scusa a tutti i colleghi ma sono in estrema difficoltà, perché da un Ministro, dell’Interno tra l’altro, che è stato l’artefice del “Lodo Alfano”, legge incostituzionale ad personam per salvare il pregiudicato di Arcore;
da un Ministro che nonostante innumerevoli denunce, si tiene dentro casa, nel suo ministero, un dirigente, Francesco Sperti, sotto indagine per legami con la camorra;
da un Ministro coinvolto nello scandalo Shalabayeva, una vera e propria deportazione illegale di una donna e la sua bimba; beh da un Ministro del genere tutto mi sarei aspettato tranne che oggi venisse in aula a leggerci la rassegna stampa, a dirci cmq cose già note, (a spendere parte del suo tempo a manipolare ancora una volta le dichiarazioni di un mio collega).
la prima domanda è, gli 11 veicoli, aerei commerciali, spariti in Libia dove sono?
Che fine hanno fatto? Sono evaporati?
Ministro siamo soltanto ad un’ora di volo da Tripoli! Non so lei ma io sono un pochino preoccupato.
La rapida ascesa dell’Isis ha messo in crisi anche Al Qaeda che è stata messa ai margini della scena.
In questi 13 anni, Al Qaeda ha vissuto essenzialmente di rendita sul grande colpo mediatico dell’11 settembre.
Nel frattempo, sono emerse nuove organizzazioni del tutto autonome, come Boko Aram in Nigeria ed Al Qaeda ha svolto sempre meno il suo ruolo federatore dell’area.
L’Isis ha via via adottato un diverso modello organizzativo, che si sta rivelando vincente.
A questo punto sarebbe sciocco dar per defunta Al Qaeda che con ogni probabilità, conta ancora su parecchie centinaia di uomini e su risorse finanziarie non irrilevanti.
Insomma, l’organizzazione ha ancora la forza necessaria per colpire… ed ecco la seconda domanda alla quale oggi mi aspettavo una risposta: Dove potrebbe colpire Al Qaeda? E come ci stiamo attrezzando?
Seguendo le regole del conflitto asimmetrico, come lei ben sa, diamo per scontato che Al Qaeda si allontani dal centro dello scontro e vada verso altri scenari.
Uno di questi potrebbe essere l’India, o l’Indonesia ma va presa in considerazione anche l’ipotesi di un attentato spettacolare in Occidente: un nuovo 11 settembre.
Usa ed Israele non sono scenari facili in cui operare ed in termini di risonanza mediatica, potrebbe esserci al terzo posto proprio Roma: la capitale della cristianità, dove, peraltro, la rete di protezione è molto meno forte di quella che può esserci negli Usa o in Israele.
Ministro pensiamo poi a quanto la tecnologia e il mondo digitale caratterizzino ormai la vita quotidiana di una nazione, dagli aspetti più banali a sistemi complessi, reti e infrastrutture ICT che forniscono beni e servizi essenziali, ed io rabbrividisco se penso alla vicenda Datagate, tutt’ora in corso, che avemmo modo di approfondire con l’ex premier Letta, dove risultò palese l’inadeguatezza del nostro Paese non in grado di difendersi nemmeno da altri governi, e non garante della Privacy dei cittadini .
Relativamente a questa prioritaria problematica le consiglio, soprattutto dopo averla audita al Copasir, un corso di aggiornamento in materia di Cyber Defence e non voglio aggiungere altro… Lei è venuto oggi ad informarci sul terrorismo internazionale di matrice religiosa e mi sarei aspettato che ci avesse detto chiaramente che il nostro problema non è come affrontare l’ISIS ma il rapporto con il mondo dell’Islam!
Che sia chiaro: l’ISIS è un ascesso che va inciso prima che tutto il Medio Oriente vada in suppurazione con esiti catastrofici.
Perché se si consolidasse uno stato fondamentalista fra Siria e Iraq, anche se di dimensioni ridotte, sarebbe matematicamente certo l’intervento israeliano. L’incendio divamperebbe con violenza maggiore del passato e con esiti imprevedibili.
Dunque, non c’è dubbio sull’opportunità di togliere di mezzo l’Isis, ma questo sopprime il sintomo, non cura il male caro Ministro Alfano.
Da circa 25 anni, l’Occidente è alle prese con il “terrorismo islamico” e non riesce a venirne a capo: di volta in volta i salafiti, il Gia, i talebani, Al Qaeda, Boko Haram ed ora l’Isis sono stati la spina nel fianco dell’Occidente che ha avuto sempre una risposta per tutto: la repressione militare del fenomeno.
Ed ogni volta, al successo sulla singola formazione, ha corrisposto la nascita di un nuovo soggetto terroristico.
Dopo quasi un quarto di secolo è il caso di chiedersi se non ci sia stato qualcosa di sbagliato nel modo in cui è stato affrontato il problema.
Ed il problema si chiama “ideologia antiterrorista”, cosa da non confondere affatto con il contrasto (necessarissimo) al terrorismo!
L’errore di base è quello di identificare l’avversario come un criminale con finalità politiche. Ne consegue che il potere sfidato non riconosce l’avversario come justus hostis (legittimo avversario bellico), ma solo come un nemico da debellare.
L’ideal-tipo dell’antiterrorismo è quello di una operazione chirurgica che estirpa una cisti dal corpo sano della società.
Il comando delle operazioni passa dalla politica alla dimensione militare, con il risultato di rinunciare a sfruttare gli elementi di debolezza politica dell’avversario e di perdere il contatto con la psicologia dell’antagonista di cui non si comprendono gli scopi reali.
Ma, è assai difficile battere un avversario che non si comprende.
Peraltro, anche quando riesce l’operazione di battere il nemico terrorista, questo avviene a prezzi economici, politici e soprattutto umani irragionevoli e non necessari.
Spesso la vittoria sarà del tutto illusoria, perché non si saranno comprese le ragioni politiche e sociali che hanno prodotto il fenomeno che, pertanto, potrebbe riprodursi in altra forma poco dopo.
E questo è esattamente quello che ci sta accadendo nel caso del cd “terrorismo islamico” che risorge costantemente dalle sue ceneri. Dunque, la domanda principale è cosa fare contro il terrorismo?
Liberarsi della “ideologia dell’antiterrorismo”; partire dalla constatazione che il “terrorista” è un soggetto politico che fa ricorso a metodi penalmente rilevanti. E, per tanto, l’avversario va studiato freddamente e capito nella sua consistenza politica. Questo, ovviamente, non significa rinunciare all’aspetto repressivo (comunque inevitabile) né scegliere la linea della trattativa o, tantomeno, della resa, ma, affrontare lo scontro subordinando l’aspetto repressivo militare a quello politico.
Ed il nostro problema politico non è il “terrorismo islamico”, ma il nostro rapportarci con l’Islam in quanto tale.
Ministro lei è per la guerra di religioni che potrebbe sfociare nell’uso di armi nucleari o auspica l’inclusione non conflittuale del mondo islamico nell’ordine mondiale?
Perché nel primo caso stiamo facendo il loro gioco…la guerra di religione è esattamente quello che gli jhiadisi vogliono.
Il problema è capire quale sia stato l’impatto della globalizzazione sull’Islam e le dinamiche che ha innescato.
Ci si sarebbe potuti attendere che, proprio in questo processo, che si concretizza nell’incontro fra l’Europa (dove per essa si intendano anche le due Americhe, la Russia e l’Australia) e l’Asia, l’Islam giocasse il ruolo di naturale “ponte” fra i due mondi contigui.
Il mondo islamico è quello che reagisce con la maggiore ostilità allo stile di vita occidentale visto come corrompente.
Dunque, c’è un problema culturale da curare sul lungo periodo, ma c’è anche un problema politico che attende risposte più rapide, la mobilitazione del mondo musulmano, i proventi dell’estrazione del petrolio. Sin qui l’Occidente ha puntato non sulla parte più modernizzante dell’Islam, ma su quella che sentiva come più alleata politicamente, e cioè quella più retriva.
Questa scelta poteva avere una sua giustificazione negli anni della guerra fredda, ma dall’apertura del processo di globalizzazione è stata semplicemente suicida.
Strategicamente ci conviene, nei confronti dell’Isis, una posizione di scontro frontale, o agire con l’intelligence cercando di separare la componente baatista isolando quella fondamentalista che è quella che vogliamo e dobbiamo battere realmente!?
Occorre aprire un discorso molto più ampio che non sia soltanto il problema dell’eventuale intervento armato contro l’Isis.
L’ISIS, in qualche modo sarà battuto, ma solo per scoprire una nuova organizzazione similare chissà da quale altra parte e ricominciare tutto da capo.
La soluzione del problema è come integrare l’Islam nei processi di globalizzazione in modo non conflittuale.
Spero Ministro, che quanto prima, prenda maggiore coscienza del suo ruolo in modo da capire quanto sia evidente la sua inadeguatezza.
Grazie Presidente
(Un ringraziamento particolare al prof. Aldo Giannuli per il suo contributo.)