Fisco pazzo: se Renzi è gufo di se stesso…

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La norma “salva-Berlusconi” (ma anche salva-banchieri, salva-manager, salva-amici degli amici) contenuta nel decreto legislativo di attuazione della delega fiscale è solo la punta dell’iceberg. Anzi, il punto più basso e vergognoso di una politica fiscale che favorisce i grandi evasori e punisce i piccoli contribuenti, che dissemina stangate qui e lì in tutti i provvedimenti e predispone mazzate future sotto forma di clausole di salvaguardia. Una politica che non semplifica nulla e manda fuori di testa cittadini e operatori economici con regole che cambiano di continuo, scadenze ballerine e norme a effetto retroattivo.
Forse, in un Paese normale, una norma come il 19-bis inserito nel decreto della delega fiscale alla vigilia di Natale, e poi ritirato, avrebbe portato a una mozione di sfiducia nei confronti del governo. Il premier in tv ha negato quello che anche il M5S aveva detto. E cioè che quel decreto, così come era strutturato, potesse causare una perdita di gettito per l’erario. Peccato che a smentirlo ci avesse pensato la stessa Agenzia delle entrate (guidata da una renziana come Rossella Orlandi), secondo cui il provvedimento rischiava di generare un’erosione di circa 16 miliardi.
Ma il capitolo fisco è davvero una Beresina per Palazzo Chigi. Un fallimento totale su tutti i fronti. E non si tratta qui di stigmatizzare un semplice aumento fiscale quanto piuttosto di evidenziare schizofrenie, contraddizioni, zig-zag, passi avanti e indietro di un legislatore miope e senza visione.
Un esempio agghiacciante? Il balletto sull’aliquota Irap, prima abbassata con il decreto degli 80 euro e poi riportata all’origine, con effetto addirittura retroattivo (senza pudore) nella legge di Stabilità. Scusate, abbiamo scherzato.
Lo Statuto del contribuente esiste ormai da 15 anni, ma continua ad essere carta straccia. Il M5S ha una proposta per inserirlo, in alcuni suoi punti cardine, dentro la Costituzione, in modo da trasformare gli italiani da sudditi in cittadini dal punto di vista fiscale. Quante tasse sono state sancite per decreto, in violazione dell’articolo 4 dello Statuto stesso? E quante volte è stato violato il sacrosanto principio della non retroattività delle norme tributarie?

E’ arrivato tuttavia a 10 miliardi il conto del fisco retroattivo
: quasi 90 le deroghe esplicite, meno di una ventina a favore di cittadini e imprese. Non tutto è colpa del governo Renzi, ovvio, ma il premier fiorentino ci ha messo del suo.
Dell’Irap abbiamo detto, ma si potrebbe citare l’ultima Stabilità e la tassazione sui rendimenti dei fondi pensione e sui dividendi incassati da fondazioni e trust (enti non commerciali). E che dire della rivalutazione dei beni di impresa nei bilanci 2013, per cui il decreto Irpef di Renzi ha previsto il pagamento dell’imposta sostitutiva in un’unica soluzione il 16 giugno scorso (prima si prevedevano tre rate)? Una stangata per fare cassa che ha messo nei guai molte società che avevano già approvato i conti, optando per la rivalutazione, e poi non si sono trovate in grado di sostenerla finanziariamente.

Il caos delle tasse sulla casa
non è solo colpa di questo governo, ma la recente pantomima dell’Imu per i terreni montani è degna del peggior dilettantismo legislativo. E che dire dei meccanismi di reverse charge e split payment sull’Iva delle fatture pagate dalla Pa o, ad esempio, dalla grande distribuzione ai fornitori? Manovre in teoria antielusive che finiscono per comportare un ulteriore carico di adempimenti e, in più, soffocano le imprese alimentari che pagano l’Iva ai produttori delle materie prime e non la incassano dalla Gdo.
Caliamo un velo pietoso sul recente rincaro dell’Imposta sul valore aggiunto per il pellet quando, finora, si è incentivato l’acquisto di stufe che utilizzano biomasse. E che dire dell’aumento delle ritenute di acconto (dal 4 all’8%) sui lavori di ristrutturazione e riqualificazione che, a parole, vengono incoraggiati? Non torniamo poi sullo scandalo della rimodulazione retroattiva delle tariffe incentivanti di produzione di energia elettrica da parte di impianti fotovoltaici (a proposito: è così che si incoraggiano gli investimenti esteri?). E come non citare il regime di agevolazioni del ‘patent box’ appena sancito in Stabilità e poi modificato dal recentissimo Investment compact?
Confartigianato dice che trascorriamo l’equivalente di 33 giornate lavorative l’anno chini sulle scartoffie fiscali. Oltre un mese che se ne va solo per capire come pagare le tasse. E’ questa la semplificazione promessa? Cadono le braccia al pensiero che la delega fiscale finora è stata attuata solo al 15%. I tempi sono adesso ulteriormente dilatati dal pasticcio della “salva-Silvio” che tuttavia non è l’unica schifezza del decreto sull’abuso di diritto (alcune soglie di punibilità sul versante del penale vengono alzate in maniera inusitata).
Cosa dire, inoltre, del balletto sul nuovo regime dei minimi? Mentre il M5S ha una proposta chiara che avvantaggia le partite Iva (imposta sostitutiva al 5% per i primi 5 anni e poi il 15% per sempre fino a 40mila euro di fatturato), in Stabilità si è scelta una soluzione punitiva (15% con un tetto di fatturato ridotto a 15mila euro e un coefficiente di redditività al 78% per i professionisti) sulla quale Renzi ha già promesso, clamorosamente, un dietrofront.
Infine, ci sono alcune forme di tortura fiscale che sono finite persino nel mirino della Corte costituzionale. Prendiamo Equitalia, che da due anni il M5S sta cercando di abolire. I giudici della Consulta hanno messo nel mirino l’aggio dell’8% perché non è modulabile in base ai costi effettivi della riscossione. Le norme per ridurlo ci sono, ma gli ultimi governi hanno preferito continuare a foraggiare il concessionario di Stato che costa oltre mezzo miliardo di soli stipendi.
Se le scelte fiscali sono un elemento chiave della politica industriale ed economica, con questo esecutivo siamo messi proprio bene.

Il M5S è sempre più l’unica alternativa seria e credibile
ai disastri del premier amico degli evasori.