Banche popolari, vogliamo vederci chiaro

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Il M5S non ci sta. E non si arrende al diktat del governo che smantella per decreto una storia secolare di solidarietà che diventa cooperazione, di risparmio che si fa ricchezza. Non ha capo né coda il testo di Palazzo Chigi che, in pratica, cancella il settore delle banche popolari, costringendo le prime 10 (500 miliardi di attivi su 525 totali circa) a trasformarsi in Spa entro 18 mesi. Ecco perché abbiamo chiesto un’indagine conoscitiva per approfondire alcuni aspetti assolutamente arbitrari del provvedimento che non sono stati chiariti durante l’iter del decreto. Si può fare chiarezza anche ex post e molte forze politiche si sono subito messe nella scia del M5S. Hanno infatti firmato la richiesta d’indagine tutte le opposizioni e molti esponenti della minoranza del Pd.

Chiederemo di audire Banca d’Italia, ministero dell’Economia, Corte dei conti, Bce, Fmi e molti costituzionalisti ed economisti per capire da dove nasce la scelta di fissare l’asticella della trasformazione in Spa dagli 8 miliardi di attivi in su (scelta che appare del tutto arbitraria). E che dire dei limiti posti al diritto di recesso del socio che non vuole passare dallo status di azionista di una popolare a quello di proprietario di una Spa? Senza dimenticare che secondo la Costituzione (art. 45) “la Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata”, mentre il governo riconosce la speculazione privata, obbligando una forma cooperativa a trasformarsi in Spa. Inoltre, all’articolo 41 la Carta spiega che “l’iniziativa privata economica è libera”. Secondo questa riforma, invece, chi ha deciso liberamente di intraprendere un’iniziativa economica, acquisendo azioni di una Società cooperativa, si troverà da un giorno all’altro in mano titoli di una Società per azioni.

Non regge poi la tesi del governo secondo cui la trasformazione delle grandi Popolari in Spa farà bene nell’ottica di fusioni con altre Spa. Per il rapporto Liikanen (2012), redatto da esperti Ue, il consolidamento non è un bene ma un male. Secondo lo stesso studio, la dimensione ottimale delle banche, tutte le banche, è pari a 20 miliardi di attivi. Non oltre. Ci dicono poi che la trasformazione in Spa aiuterà il rafforzamento patrimoniale e la raccolta di capitali. Non è vero: le “banche pop” possono già ricapitalizzarsi in base all’articolo 31 del Tub e alcune lo hanno fatto. Intanto, delle dieci maggiori Popolari, già sette sono quotate. Inoltre, proprio a seguito degli stress test in Europa, le Popolari cui è stata richiesta un ricapitalizzazione l’hanno effettuata immediatamente. Mentre, ad esempio, un istituto Spa come Mps non ce l’ha fatta.

E infine la propaganda esclama: “Ce lo chiede la Bce!”. Ma perché la Banca centrale europea si riferisce solo all’Italia? Guardando alle varie Rabobank, Pohjola, Credit Mutuel, Credit Agricole, Credit Cooperative, alle Volksbanken e Raffeisenbank, scopriamo che esistono diverse banche a voto capitario sopra la soglia degli 8 miliardi di attivo in Francia, Olanda, Finlandia, Germania. Perché il problema deve riguardare solo noi? Bisogna discernere in modo chiaro le banche che fanno speculazione da quelle che prestano prevalentemente a imprese non finanziarie e famiglie. Il credito mutualistico ha sostenuto l’economia negli anni della crisi, con più prestiti, meno sofferenze e buona solidità patrimoniale. Ci sono dei problemi in alcuni istituti? Basta affrontarli concretamente, non come fa il governo che cancella la biodiversità creditizia per decreto e fa un favore alla grande finanza internazionale.