Il Sistema degli appalti pubblici in cui si annida la corruzione

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Gli ultimi scandali di corruzione legati agli appalti pubblici nel nostro Paese, di cui il Governo Renzi è politicamente responsabile (sono 5, infatti, i sottosegretari del Ministero delle infrastrutture indagati per corruzione ancor prima di essere nominati da Renzi) denotano che oltre ad una legge seria sull’anticorruzione, l’Italia ha bisogno di rivedere integralmente il Codice degli Appalti pubblici. Un codice entrato in vigore nel 2006 (durante il Governo Berlusconi) modificato 563 volte e che è composto addirittura da 273 articoli, con 1.560 commi e 148 rinvii ad altre norme legislative. Il regolamento di attuazione poi è fatto di altri 358 articoli con 1.392 commi.
Una vera e propria ragnatela di norme in cui si annida e si alimenta la corruzione.
Occorre ridurre e semplificare velocemente tale sistema di norme. Negli appalti pubblici, infatti, vi sono molteplici passaggi che non fanno altro che originare il malaffare, come ha denunciato lo stesso Raffaele Squitieri, presidente della Corte dei Conti, secondo il quale “l’eccesso legislativo in tale materia ha fatto sì che nei gangli del sistema si inserisca la corruzione “.
Si inizia dalle falsificazioni documentali e contabili delle società che partecipano agli appalti. Incassano soldi pubblici e poi nel giro di qualche mese dichiarano fallimento, sparendo definitivamente con il malloppo e lasciando a casa lavoratori senza stipendio. In cambio di mazzette, poi, le imprese vengono agevolate da politici, dirigenti e funzionari pubblici nell’acquisizione di certificati e spesso vengono esonerati dai preliminari controlli circa i requisiti di idoneità professionali.
Si passa poi alla fase dell’assegnazione dell’appalto stesso. Ogni dieci contratti pubblici, sei di questi vengono affidati in modo diretto e senza una regolare gara d’appalto. Un 60% che vale il 34,66% dell’importo complessivo degli appalti. Inoltre come è emerso dal Rapporto annuale (2014) della GdF, oltre un terzo dell’importo monitorato è stato aggiudicato con modalità illecite.
Si arriva poi alla indebita lievitazione (di oltre il 40% del valore dell’appalto) dei prezzi finali delle commesse e dei servizi grazie alle cosiddette varianti in corso d’opera firmate dai Direttori dei Lavori che, in cambio di mazzette e regali, sono disposti a certificare finti incrementi di costi. Tra l’altro il legislatore (in totale male fede) nell’ambito dell’approvazione del DL 90 (all’art. 37) ha escluso dal controllo Anac (Agenzia nazionale anticorruzione) proprio le varianti relative a settori strategici (come difesa, comparto militare, ecc.) e relative alle grandi opere (acqua, energia, telecomunicazione, ecc.).
Analogo discorso vale per i subappalti (dati spesso alle Cooperative ) che possono essere autorizzati dal Committente (tramite il Responsabile Unico del Procedimento) sino al 30% del totale del contratto e dei noli (noleggi di macchinari, di attrezzature, di personale, ecc) che non necessitano di alcuna autorizzazione qualora di importo inferiore a 100.000 o inferiore al 2% del costo del contratto iniziale. In questi passaggi, si annida la corruzione ed i soggetti coinvolti spesso sottraggono denaro pubblico, facendo lievitare i costi dell’opera. In Italia per esempio il costo medio a Km per l’esecuzione di un opera di infrastruttura supera i 61 milioni di euro, mentre in Europa e nel resto del Mondo si attesta attorno ai 10 milioni di euro. L’ingente differenza direttamente in tangenti, grazie a norme facilmente eludibili.
Un ulteriore buco esistente negli appalti delle opere pubbliche, consiste nel fatto che per i contratti e le erogazioni di importo non superiore ai 150.000 mila euro, l’art. 83 lettera e) del D.Lgs. 6.9.11 n. 159 non richiede la documentazione antimafia. Questa soglia così alta consente, dunque, di affidare lavori e stipulare noleggi senza alcun controllo antimafia e senza alcuna autorizzazione.
Vengono poi forniti materiali sempre più scadenti e di bassa qualità e quantitativamente in misura inferiore rispetto al costo concordato e stanziato dallo Stato per l’ aggiudicazione. Con il risultato che oltre al danno derivante dal reale costo delle opere (finanziato dalle tasse dei cittadini) e dagli sprechi di denaro pubblico per opere mai completate, abbiamo ponti che crollano dopo due giorni dal collaudo e strade sempre più dissestate, che mettono in pericolo la sicurezza dei cittadini.
Controlli, verifiche, sopralluoghi, subappalti, progetti esecutivi e collaudi finali mai avvenuti, ma ugualmente tutti certificati grazie alle tangenti. Ogni singola fase di un appalto rappresenta un utile sistema per ricevere mazzette e per pagare lauti stipendi ai soliti corrotti. Un sistema incontrollabile gestito, dai soliti lupi.
Subito, dunque, la revisione integrale del codice degli appalti, per fermare la corruzione in Italia.