Il Welfare a pezzi nell’Italia dell’austerità

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L’Italia ha dimenticato il Welfare e i cittadini più deboli. È una realtà sotto gli occhi di tutti, tra tagli lineari ai servizi essenziali e l’assenza di strumenti di protezione sociale per poveri e indigenti. Sorprende però che a ricordarcelo sia la Commissione europea, attraverso il rapporto Social Investment in Europe pubblicato il 23 aprile scorso. La stessa Commissione europea che da anni impone austerità, privatizzazioni e prestiti usurari ai Paesi in difficoltà finanziaria. Prima, insieme a Fondo Monetario Internazionale e Bce, detta la linea economica a interi popoli, “suggerisce” l’inserimento del pareggio di bilancio in Costituzione e spinge a palazzo Chigi un uomo in palese conflitto di interessi come Mario Monti, poi si lamenta perché l’Italia non investe nel reddito di cittadinanza e nei servizi essenziali.
Se ci limitiamo al rapporto della Commissione, però, la fotografia dell’Italia di oggi è molto realistica:
Manca del tutto un reddito minimo garantito, quello che il M5S chiama reddito di cittadinanza e che ha presentato ufficialmente in Parlamento. Si tratta di uno strumento di inclusione sociale che agisce anche da stimolo ai consumi di prima necessità e quindi agli utili aziendali, con effetti indiretti sull’occupazione e i conti pubblici (più occupati portano ad un maggiore gettito fiscale e lo distribuiscono su una platea più ampia di contribuenti).
Vi è una scarsa redistribuzione verticale della ricchezza con crescenti diseguaglianze che emarginano le fasce più deboli della popolazione sia dal punto di vista materiale che sociale. Chi non lavora per molto tempo perde capacità, reputazione e determinazione, ampliando le fila dei disoccupati di lunga durata. Questo Governo, naturalmente, va nella direzione opposta, come dimostra ad esempio la soppressione della legge 407/1990 che garantiva alle piccole e medie imprese del Mezzogiorno e a tutte le imprese artigiane il completo sgravio sui contributi sociali (100%), e alle piccole-medie imprese del resto d’Italia il 50% di sgravio, in caso di assunzione di disoccupati di lunga durata. La soluzione al problema della diseguaglianza, invece, è una radicale riforma del sistema fiscale nazionale, innanzitutto diminuendo drasticamente, o eliminando, le imposte più regressive (come l’Iva, che questo Governo porterà al 25,5% entro il 2018 attraverso le clausole di salvaguardia).
I tagli selvaggi agli Enti locali e alle Regioni hanno avuto effetti diretti sui servizi primari: sanità, istruzione, trasporto pubblico, acqua, energia. L’austerità centrale ha costretto Comuni, Province e Regioni a intaccare i servizi, aumentare le tariffe e svendere ai privati partecipate essenziali per la qualità della vita dei cittadini. Non a caso il rapporto della Commissione europea segnala il crollo degli investimenti locali per i servizi pubblici di natura assistenziale (-23,5% dal 2008 al 2012)
La spesa nazionale per il miglioramento dei servizi di assistenza familiare è crollata (-88% dal 2008 al 2014), colpendo anche il sostegno ai bambini in difficili condizioni familiari. Da notare che nel frattempo i bambini in condizioni di povertà assoluta sono passati da 1,2 milioni a 1,5 milioni nel 2013 secondo i dati Istat. La crisi morde e il Governo attacca lo Stato sociale.
Il Fondo nazionale per le politiche sociali è stato drasticamente ridotto (-58%).
Inutile dire che il Documento di economia e finanza del Governo (Def) conferma per i prossimi anni la strada di tagli e sacrifici già portata avanti dal 2008 ad oggi. Non solo. L’esecutivo contrasta il nostro provvedimento sul reddito di cittadinanza a prima firma Nunzia Catalfo, in discussione nella Commissione Lavoro del Senato.
Voltiamo le spalle al Governo e agli ipocriti governanti europei, o rinunciamo al nostro Welfare State?