L’euro è un’arma di disoccupazione di massa

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La piena occupazione senza sovranità monetaria è impossibile. I dati sulla disoccupazione nell’eurozona sono drammatici: a fine 2014 si segnava un tasso medio dell’11,4%, con punte del 12,9% in Italia, del 13,5% in Portogallo, del 24,2% in Spagna e del 26,2% in Grecia. Circa 25 milioni di disoccupati in Europa e più di 3 milioni in Italia. E stiamo parlando di dati parziali, che non tengono conto di chi è disoccupato ma non cerca più un lavoro, mentre contano fra gli occupati anche i moltissimi lavoratori sottoccupati e precari. Il tasso di disoccupazione realistico dell’Italia si aggira infatti intorno al 22% e i disoccupati effettivi sono circa 6 milioni. Numeri da dopoguerra. E non si tratta di una calamità naturale, ma di una lotta furiosa che vede schierati da una parte grande industria e finanza e dall’altra lavoratori e piccola-media impresa. Se a trionfare, oggi, sono istituti finanziari e multinazionali è soprattutto grazie all’euro.
L’euro non è solo una moneta, ma un “metodo di governo” (Bagnai). Il motivo è semplice: una moneta unica per economie molto diverse genera squilibri che prima o poi portano alla crisi dei Paesi meno sviluppati. Lo squilibrio principale che l’euro favorisce è dal lato commerciale (esportazioni e importazioni di merci e servizi). Se ai Paesi meno sviluppati si toglie la possibilità di svalutare la propria moneta quando necessario per mantenere esportazioni e importazioni in equilibrio, si accumuleranno anno dopo anno disavanzi commerciali (importazioni maggiori delle esportazioni).
Per continuare a importare più di quello che si esporta è necessario, dentro l’euro, prendere moneta estera a prestito, perché quella ottenuta con le esportazioni è insufficiente. Ecco allora che il debito estero – in parte pubblico e in parte di famiglie, banche e imprese – si espande. La crisi inizia quando per qualche motivo i prestiti esteri si interrompono e devono essere restituiti (è successo nel 2008 a causa della crisi finanziaria americana che ha contagiato le borse europee).
A questo punto un Paese fortemente indebitato con l’estero e senza la possibilità di svalutare la moneta è costretto a svalutare i salari. In qualche modo, infatti, i prezzi delle proprie merci e dei propri servizi devono risultare più convenienti per i compratori esteri, così che le esportazioni tornino a salire e non ci sia più bisogno di indebitamento estero. Se non lo si può fare diminuendo il valore esterno della moneta (svalutazione), è obbligatorio tagliare il costo del lavoro (salari soprattutto).
E qui entra in gioco la disoccupazione di massa! La vera funzione della disoccupazione è tagliare lo stipendio ai lavoratori e competere globalmente sulla loro pelle. Se la disoccupazione è molto alta, infatti, i lavoratori avranno molto meno potere contrattuale, perché in tanti si contenderanno i pochi posti disponibili. L’imprenditore potrà quindi giocare al ribasso con stipendi e diritti. Ed ecco spiegato il Jobs Act e la disoccupazione al 13%. Bisogna dire che se il piccolo imprenditore è costretto a tagliare i costi, il grande imprenditore potrebbe mantenere i profitti, ma taglia i salari per gonfiare i suoi utili.
A dimostrare che tutto ciò non se lo inventa il M5S, c’è un parametro economico molto usato dalle istituzioni europee: il NAIRU (Non Accelerating Inflation Rate of Unemployment), che si traduce con Tasso di Disoccupazione che Non Accelera l’Inflazione. Il Nairu fissa per ogni Stato il tasso di disoccupazione “naturale” grazie al quale i prezzi non salgono, e quindi la competitività delle merci rimane intatta. Per l’Italia il Nairu fissa la disoccupazione intorno al 12-13%.
A parte l’ipocrita retorica contro la disoccupazione, anche questo Governo amico delle banche ha un solo vero obiettivo di politica economica: rispettare il NAIRU. A dimostrarlo c’è il Documento di Economia e Finanza 2015 (Def), nel quale il Governo fissa come obiettivo programmatico un tasso di disoccupazione al 12,3% nel 2015 e ancora all’11% nel 2019, ben sapendo che le previsioni sono sempre ottimistiche e i dati reali saranno ancora più tragici. Mettetevi il cuore in pace: con l’euro e i suoi fedeli servitori nazionali di qui al 2020 non ci sarà un solo posto di lavoro in più. Una disoccupazione di massa è per sempre.