Dietro gli F35, c’è una crisi pilotata come in Grecia?

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Ce li hanno spacciati come i cacciabombardieri del futuro, eppure i flop da quando gli Usa hanno cominciato a propinarci gli F35 sono stati tanti. L’ultima figuraccia è di due giorni fa, quando proprio un F35 durante una simulazione è uscito sconfitto da un F16, un aereo progettato negli anni ’70 e ancora in forza a molti Paesi occidentali. Il rapporto fornito del pilota non lascia molto spazio all’immaginazione: “Il jet – ha scritto – si è dimostrato completamente inadatto al combattimento”.
Nonostante questi disastri, il governo continua a tirare dritto con il suo acquisto di 90 cacciabombardieri F35 per un costo di circa 14 miliardi di euro, senza contare spese e manutenzione. E le promesse sui dimezzamenti di budget sono rimaste lettera morta. Considerata la delicata fase economica che stiamo attraversando, ci domandiamo allora: perché il governo Renzi si ostina ad incrementare la spesa militare mentre scuole e ospedali cadono a pezzi, e la disoccupazione giovanile è al 43%?
Forse la risposta la troviamo in Grecia, dove domenica si svolgerà il referendum. Perché è proprio il caso greco, su tutti, a offrirci una chiave di lettura alternativa, quanto interessante.
Dall’inizio della crisi, curiosamente, tutti i governi greci hanno infatti tagliato senza pietà la spesa pubblica su ordine della Troika, ma i fondi destinati agli acquisti di armamenti non li ha toccati nessuno. E chi ha venduto loro finora tutte queste armi? Proprio la Germania e la Francia, i profeti del “rigore”!
Sembra impossibile, eppure i dati parlano chiaro: già nel 2012 il Guardian riferiva che circa il 15 per cento delle esportazioni tedesche di armi e quasi il 10 per cento di quelle francesi sono state inviate alla Grecia. Tra il 2010 e il 2014, dunque negli anni peggiori per il popolo ellenico, la Grecia ha continuato a comprare da Berlino e Parigi grandi quantità di armi per un valore pari a 551 milioni di dollari dalla Germania e pari a 136 milioni dalla Francia.
Qualche analista ha quindi pensato che quella greca sia stata una sorta di “crisi pilotata” in favore dell’industria militare. Nel gennaio 2015, quasi a dar ragione ai sospetti, l’Ue ha rivisto la metodologia di calcolo dei bilanci degli Stati membri riconoscendo per la prima volta le spese militari per nuove armi come “investimenti”, da aggiungere al Pil e fuori dalla regola del 3 per cento. Una specie di via libera alle spese pazze per nuovi aerei e navi militari.
Forse allora il folle acquisto degli F35 da parte dell’Italia rappresenta l’avvio del piano “crisi pilotata” anche nel nostro Paese? A conferma, c’è il fatto che negli ultimi cinque anni l’Italia non ha mai ridotto il suo bilancio militare. E malgrado le smentite del governo, la spesa continua a crescere e ad essere annotata anche in altri ministeri oltre la Difesa, come il Mef e il Miur.