Assunzioni scuola, migliaia di precari costretti all’emigrazione forzata

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E’ partito il “click day” per presentare le domande di assunzione nella scuola, tanto strombazzate dal Presidente del Consiglio. Se immaginate torme di precari col dito sul mouse, pronti a cliccare per l’occasione della vita, ebbene ripensateci: almeno la metà degli aventi diritto sta seriamente considerando di lasciar perdere.
Questo la dovrebbe dire lunga su che razza di “grande opportunità” abbia apparecchiato il governo ai precari dopo tante promesse. Il funzionamento di tutta l’operazione, intanto, è stato probabilmente affidato all’Ufficio Complicazione Affari Semplici: l’assunzione avverrà in 4 fasi, chiamate 0, A, B e C. Le prime due comprendono le graduatorie provinciali, in cui i precari avranno la possibilità di passare in ruolo nella zona dove già insegnano magari da anni o persino decenni.
Il bello arriva, però, quando si passa alle due fasi finali, che prevedono graduatoria nazionale e coinvolgono circa 60 mila docenti. A costoro, spesso padri o madri di famiglia di mezza età, con casa e figli, il complicato meccanismo prospetta un drastico prendere o lasciare: o sei disposto a trasferirti armi e bagagli dall’altra parte del Paese, oppure addio cattedra. E naturalmente, indovinate a chi tocca il boccone più amaro? Ai precari più bravi del Sud, costretti come da tradizione a dolorose migrazioni là dove mancano le coperture al Nord, e spesso in grandi città dove la vita è cara e si rischia quindi di scassare le finanze familiari anziché risolvere un problema. Non solo: tutto ciò lascerà vacanti tante cattedre al Sud, e disoccupati i precari di seconda fascia al Nord.
La carica delle “centomila assunzioni” del Governo si sta insomma rapidamente trasformando nella solita debacle italica, treni che vanno su e giù, gente che resta disoccupata a casa sua, altri costretti ad una stupida emigrazione, classi che si ritrovano senza insegnanti.
Così, molti precari stanno malinconicamente pensando di rinunciare a questa “grande opportunità”, preferendo tenersi lo stipendio di supplenti là dove possono usarlo interamente per la famiglia invece di sperperarlo in inutili trasferte.
Questa è quella che viene chiamata “buona scuola”, nella politica del “fare”. Quando chi è al governo non sa cosa serve davvero ai cittadini, e probabilmente se ne infischia anche di saperlo, il risultato è un pastrocchio indecoroso. Un qualsiasi consiglio di classe avrebbe sicuramente saputo far di meglio.