Fisco & evasori: la “manina” di Ferragosto

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Manine che vanno, manine che vengono. Tutte rigorosamente in occasione di feste e vacanze. Ricordate quella di Natale che inserì, in un decreto della delega fiscale, il salvacondotto del 3% per i frodatori? Beh, il premier Renzi fu costretto a prendersi la responsabilità in prima persona e il governo fece rovinosamente marcia indietro.
Adesso siamo sotto Ferragosto, è tornato il 3% (sotto altra veste) ed è tornata a colpire la manina del Fisco horror. Talmente horror da far impallidire la celebre Mano della Famiglia Addams.
Vediamo di che si tratta: il campo d’azione è quello della dichiarazione infedele, il veicolo è il decreto 183, un altro di quelli attuativi della delega fiscale. E la geniale innovazione che piace agli evasori riguarda la valutazione (quindi l’eventuale “falso valutativo”) dei propri asset d’azienda che vanno a formare il reddito imponibile.
Riflettiamo su cosa dovrebbe o non dovrebbe essere considerato frode. Secondo il governo e la maggioranza, fare delle classificazioni o valutazioni non corrette degli attivi e passivi non è reato, a patto che vengano descritti, magari avvalendosi di bravi consulenti, i criteri utilizzati nelle scritture contabili.
Se, però, un imprenditore disonesto decide di evadere e mette appunto, in modo doloso ma efficace, delle scritture contabili gonfiate o ridotte, non deve egli essere considerato un frodatore? Scrivere delle cose false (scusate, il decreto dice “non corrette”) non dovrebbe essere comunque una frode?
I parlamentari del Pd si giustificano sostenendo che non si può incriminare una persona se fa una valutazione non corretta, perché la valutazione è comunque una stima ed è in qualche modo arbitraria. Poi aggiungono che la descrizione dei criteri utilizzati per quella stima è già sufficiente a giustificare qualsiasi panzana scritta in bilancio. Quindi il falso in bilancio, già ri-depenalizzato da Renzi, ora non comporta nemmeno la frode fiscale, né tantomeno il reato di dichiarazione infedele.
Ma poi il governo è andato oltre e ha inserito un comma 1 ter all’articolo 4 del decreto legislativo 74/2000 in cui si dice che, ad ogni modo, se la valutazione si discosta dal reale, in eccesso o in difetto, di non oltre il 10%, non bisogna nemmeno esplicitare i famosi criteri delle scritture contabili. Passa tutto in cavalleria, qualsiasi valutazione non corretta è ammessa purché falsa nel limite del 10%.
Ma una scrittura contabile che si discosta dalla realtà per quella percentuale, se inserita poi ad esempio come perdita nell’imponibile, potrebbe portare a una riduzione delle tasse di circa il 10%. E quindi, orientativamente, darebbe vita a un risparmio fiscale pari al 3% del reddito.
Toh! Ecco il 3% che ritorna. Può sembrare poco, ma se l’azienda è grande, si tratta di milioni evasi.
Lo stesso magistrato Francesco Greco, uno dei massimi esperti italiani di reati economici, durante le audizioni, ha lanciato l’allarme sui tantissimi processi per reati fiscali che potrebbero decadere. E chissà a quale prezzo per lo Stato.
Mentre i cittadini normali continuano a pagare per tutti, governo e maggioranza riflettano su cosa dovrebbe o non dovrebbe essere considerato frode.