Salvabanche: una catena di errori. Meglio nazionalizzare

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Approvato ieri dal governo il cosiddetto decreto salva-banche. I 3,6 mld di euro necessari al salvataggio di quattro istituti del centro Italia saranno messi a disposizione da Intesa Sanpaolo, UniCredit e Ubi. I quattro intermediari da salvare sono: Banca delle Marche, Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio (quella del papà del ministro Boschi), Cassa di Risparmio della Provincia di Chieti e Cassa di Risparmio di Ferrara.
Nasceranno quattro nuove banche dalle loro ceneri, mentre una bad bank rileverà le sofferenze bancarie.
L’intervento è arrivato alla fine di mesi di balletti inutili con la UE sul tema degli ‘aiuti di Stato’, mesi che hanno solo aggravato la condizione delle quattro banche ora svuotate dall’intervento di Bankitalia e del governo, nonché messo in evidenza l’assenza di peso dell’Italia di fronte alle burocrazie europee e i buchi della vigilanza di Bankitalia.
La situazione è peggiorata fino a un punto di non ritorno. La vicenda è tragica, ma assume i contorni della farsa grottesca se si considera che il governo ha dapprima accettato e approvato la procedura del bail-in (che sarà pienamente attivo dal prossimo 1 gennaio), ma poi ha cercato disperatamente di evitarne gli effetti nefasti lanciando questo meccanismo di risoluzione fatto in casa, in anticipo sullo schema di salvataggio che colpirebbe anche piccoli risparmiatori e correntisti.
In realtà, si è lasciata ai dirigenti di quattro istituti piena libertà di utilizzare le risorse e il risparmio dei cittadini in modo scriteriato, favorendo i soliti amici degli amici, per poi decidere di scaricare tutto sugli azionisti e in parte pure sui contribuenti. Così lo scippo è servito. E la Boschi ha avuto anche la “grazia” di uscire dal Consiglio dei Ministri, mentre veniva salvata la banca del padre (Banca Etruria).
Non è vero, peraltro, che non ci sono costi per lo Stato. Persino la Commissaria europea per la Concorrenza Vestager ha citato l’utilizzo di fondi pubblici, seppur ridotti ‘al minimo’. Mentre Intesa San Paolo racconta dell’impegno finanziario di Cassa depositi e prestiti in caso di incapienza del Fondo alla scadenza del finanziamento. In ogni caso, va realizzandosi a tappe forzate la mission di Draghi: accentramento del sistema e riduzione degli attori in campo.
Adesso le sofferenze scontate da 8,5 a 1,5 miliardi regaleranno un bel bottino a chi le comprerà. Gli istituti in via di dismissione defiscalizzeranno le perdite sui crediti. E anche le bridge-bank saranno un bocconcino ghiotto, dal punto di vista delle imposte, per chi le acquisterà.
La ricetta del M5S invece è chiara: se dobbiamo comunque pagare noi, tanto vale nazionalizzare, separando attività speculative e commerciali. In questo modo si costringerebbero le banche a servire l’economia reale, famiglie e imprese: cioè, per una volta, a servire i cittadini italiani.