Tutti alla corte del Re profitto: nel 2016 tocca al Credito cooperativo

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Il 2015 del governo, sul fronte del settore del credito, è stato a dir poco disastroso. Il decreto ‘salva-banche’ si è rivelato un ‘ammazza-risparmiatori’ e il mancato ricorso al Fondo interbancario di tutela dei depositi, su cui la commissione Ue non aveva posto un veto aprioristico, ha generato un vulnus in termini di fiducia nel sistema che rischia di compromettere un’uscita dalla recessione che, in vista del 2016, è già di per sé tutt’altro che convincente.
Ma l’anno che entra non vedrà certo l’esecutivo starsene con le mani in mano rispetto al sistema delle banche. Il piano di accentramento del comparto, caldeggiato dalla Bce di Mario Draghi, va avanti a tamburo battente. E Palazzo Chigi ne è il fido esecutore.
Filippo Taddei, responsabile economico del Pd, scandisce le tappe: “I decreti interministeriali con i criteri per rimborsare i risparmiatori vittime del crac delle quattro banche arriverà nelle prossime settimane. Gennaio sarà importante per il sistema bancario, anche perché faremo un altro pezzo della riforma: dopo le banche popolari, toccherà al credito cooperativo. Vogliamo intervenire con rapidità e in modo strutturale”.
Infine, non va dimenticato il dossier, sempre aperto, della bad bank di sistema che dovrebbe ripulire i bilanci bancari delle malefatte che gli istituti hanno combinato negli ultimi 10-15 anni.
Il primo passaggio sarà dunque quello di fissare i criteri con cui elargire la misera mancetta ai truffati dell’antipasto di bail-in cui abbiamo assistito a fine novembre. Si tratta di un’elemosina, se si considera che ci sono 100 milioni a disposizione per quasi 800 milioni di obbligazioni subordinate azzerate.
Poi, però, toccherà al piatto forte, cioè all’altro provvedimento atteso da mesi nelle alte sfere della tecnocrazia di Francoforte, provvedimento che punta a ridurre la “biodiversità” (come la chiamano gli esperti) nel panorama del mercato bancario italiano: parliamo della riforma del credito cooperativo.
“Le banche vanno accorpate e lo faremo a partire dalle banche di credito cooperativo”, ha detto il premier. Lo scopo stavolta è quello di ridurre le Bcc per decreto, creando un’unica capogruppo (sul modello del Credit Agricole francese, che tanto piace al capo del governo) che potrebbe essere una Spa, alla quale fanno capo gli oltre 370 istituti tra banche di credito cooperativo e casse rurali.
In pratica, come al solito, si sottoporrà alla logica brutale del profitto un altro pezzo del nostro credito che finora ha invece lavorato su base mutualistica e solidaristica. Un pezzo importante, peraltro, se consideriamo che stiamo parlando 1,2 milioni di soci, 4.450 sportelli, circa 6 milioni di clienti, 161 miliardi di euro di raccolta e 135 miliardi di prestiti (di cui 86 miliardi alle imprese).
Siamo di fronte all’ennesima riforma imposta dall’alto che porterà a fusioni e acquisizioni, con una sicura riduzione di posti di lavoro tra i 37mila dipendenti che oggi operano nel settore del credito cooperativo.
I dettagli tecnici (sul tavolo l’opportunità di una o più holding di controllo e la discussione sulla soglia di capitale sociale da fissare o meno per decreto) arriveranno a breve. La cosa grave è che il governo si prepara a smantellare un’altra porzione della nostra biodiversità bancaria (dopo la riforma delle Popolari), in ossequio ai diktat di Bce e Bankitalia.