Tecnologie emergenti. Lavorare tutti, di meno, e meglio

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“Una rivoluzione industriale accade ogni volta che tre tecnologie epocali emergono e convergono, per creare una nuova piattaforma che usiamo per gestire l’energia e muovere l’economia”.
Jeremy Rifkin
Le tre tecnologie emergenti, sharing economy, intelligenza artificiale e l’internet “delle cose” stanno rivoluzionando giorno dopo giorno il modo di lavorare, il rapporto tra ore occupate dal proprio mestiere e tempo libero, ma anche la relazione tra produttore e consumatore (con la nuova figura dei “prosumatori”).
Una rivoluzione che trasforma il capitalismo e cambia il concetto stesso di capitale. Proprio Rifkin, ormai 20 anni fa, divenne celebre con il saggio “La fine del lavoro“. Nel frattempo, alcune mansioni stanno scomparendo del tutto, rimpiazzate dalle macchine e dai robot.
Secondo uno studio dell’Oxford Martin School University, nei prossimi 10-20 anni in Europa sparirà il 50% delle professioni a causa dell’innovazione tecnologica. Sempre i ricercatori di Oxford prevedono che nel prossimo ventennio il 47% di tutti i posti di lavoro in Usa potrebbe essere automatizzato.
C’è forse da spaventarsi allora, perché “fine del lavoro” significa disoccupazione generalizzata? Beppe Grillo, tra i pionieri del tema, provò tempo fa a dare una risposta a mò di provocazione: le 20 ore di lavoro settimanali, per lavorare tutti di meno e meglio. Ma ne nacque soltanto la solita polemichetta da telegiornale, e la politica non capì o fece finta di non capire.
Di sicuro si può cambiare il tempo dedicato al lavoro. Perché gli impieghi più qualificati o creativi – quelli che le macchine non possono sostituire, ma devono supportare – sono in grado di generare un enorme valore aggiunto da ridistribuire poi ai lavoratori stessi.
Alla politica in teoria spetterebbe il compito di decifrare tutti questi fenomeni, per poterli governare o quantomeno regolamentare. Ma in Italia si preferisce continuare a discutere a vuoto di vecchi problemi: mai uno sguardo proiettato al futuro o un barlume di lungimiranza.

Uno spiraglio di luce è entrato alla Camera il primo febbraio, in Commissione lavoro, con l’audizione del sociologo del lavoro di fama internazionale, professore emerito della Sapienza di Roma, Domenico De Masi (per la prima volta in Parlamento, figuratevi voi). 
L’occasione è il dibattito sulla risoluzione del nostro portavoce Claudio Cominardi, in merito alla disoccupazione tecnologica. Il sociologo ha tratteggiato gli scenari di un futuro che inizia a fare capolino, ha rimarcato la necessità di rivedere l’orario di lavoro che dovrebbe essere ridistribuito, considerato il numero enorme di lavoratori anziani e di giovani disoccupati. Ma De Masi si è anche soffermato sulla necessità di istituire un reddito di esistenza che va addirittura oltre al concetto di reddito di cittadinanza.
Grazie al M5S è stato ascoltato anche il direttore della Mit Review Alessandro Ovi, con il quale si è discusso del fenomeno sociale della disoccupazione tecnologica e di come la sharing economy crei degli squilibri se non regolamentata, basti vedere il caos generato da Uber sul settore taxi.
Il MoVimento 5 Stelle è all’avanguardia su questi temi e non a caso ha depositato una proposta di legge, a prima firma Ciprini, che regola lo “smart working” (lavoro flessibili e a distanza), integrando nuove norme in materia di banca delle ore e ferie solidali.
Noi crediamo che la politica debba essere la prima a comprendere le novità, e a regolamentarle affinché diventino un vantaggio per tutti.