Gentiloni e l’intervento in Libia: le menzogne di un Governo sempre più irrilevante


La vagonata di menzogne del governo sulla vicenda libica ci dimostra che siamo in guerra. Una guerra a cui il Movimento 5 Stelle si opporrà in ogni modo. Renzi sembra un Badoglio al contrario: negli incontri bilaterali nel ‘salotto istituzionale’ di Barbara D’Urso su Canale 5 dice che non si va in guerra, ma poi si comporta come qualcuno che di fatto si sta preparando alla guerra.
Il Ministro Gentiloni ci fa la “cortesia” di venire a raccontare in Parlamento le operazioni che questo Governo ha scelto arbitrariamente di avviare in Libia, ma solo a decisioni prese e solo dopo ripetuti inviti e sollecitazioni.
Il Parlamento non solo non ha alcun potere di decidere se aderire o meno ad interventi di natura militare, ma non ci si degna neppure di informarlo. Per sapere di più forse avremmo dovuto convocare il direttore del Wall Street Journal, che già da settimane annuncia il ruolo che l’Italia ha assunto nelle operazioni in Libia all’insaputa dei suoi cittadini. O forse il capo del Pentagono Carter, secondo cui gli Stati Uniti appoggiano Roma «con forza». Oppure il presidente Obama in persona?
Ci sembra che la politica della Difesa italiana si sviluppi nelle sedi più disparate tranne che in Parlamento, a cui è riservato il poco nobile ruolo di ratificare accordi stretti nelle segrete stanze con gli americani.
Eppure questo è un intervento a cui, stando alle parole di Gentiloni, della Pinotti e dello stesso Renzi di qualche tempo fa, non avremmo dovuto partecipare, se non nell’ambito di un quadro internazionale; in tempi maturi, ovvero dopo la formazione di un Governo libico; e, soprattutto, sulla base di una strategia ragionata per non cadere negli errori del passato.
Ma mentre il governo nega, assistiamo a un’escalation di iniziative che, messe tutte insieme, ci portano inevitabilmente ad una conclusione: ci prepariamo alla guerra in Libia! Infatti veniamo a sapere (ancora una volta da un giornale estero) che l’Italia autorizza l’uso della base di Sigonella per far partire droni armati statunitensi verso la Libia.
Poi, sempre sui giornali, i parlamentari apprendono che Renzi ha firmato il 10 febbraio scorso un Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM), secretato, che sancisce un impegno italiano in Libia.
Insomma: la linea politica è già decisa con gli Stati Uniti, e il governo non fa altro che nasconderla.
La motivazione ufficiale è la lotta all’ISIS, ma quella sostanziale sono gli interessi economici nel Mediterraneo da difendere, un potere coloniale da affermare e suddividere, insieme al petrolio. La cartina della “nuova Libia” è bell’e pronta: la Regione del Sahel nel Fezzan alla Francia, la zona della Cirenaica alla Gran Bretagna, all’Italia la Tripolitania. Naturalmente, agli americani la supervisione strategica.
La Libia è un bottino da 130 miliardi di dollari, che può arrivare a tre-quattro volte se un nuovo governo tornasse ad esportare. Sono stime che sommano la produzione di petrolio con le riserve della Banca centrale e del Fondo sovrano libico che sta a Londra.
E’ facile allora capire che il ministro degli esteri italiano “ombra” sia l’amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi, che il 6 aprile 2015 dichiarò: vedo all’orizzonte il petrolio a 70-80 dollari al barile, ma serve la Libia unita. I petrolieri ordinano, e il governo obbedisce. Sempre secondo la regola del silenzio.