L’agonia infinita del mondo del lavoro

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Dopo tre mesi esatti dall’inizio del nuovo anno è possibile tirare alcune conclusioni definitive sul mondo del lavoro nel 2015. Il giudizio sulle politiche di Governo non può che essere impietoso. Il Jobs Act si è confermato fallimentare, rispetto ai proclami del premier, e la decontribuzione ha gonfiato una bolla di contratti a tutele crescenti che è esplosa appena l’incentivo è stato ridimensionato (gennaio 2016).
Come certificato dai dati Istat aggiornati al 10 marzo, nel 2015 i nuovi posti di lavoro sono stati 230.000. Il numero è sconsolante, considerando che il Governo favoleggiava di 1 milione di nuovi posti di lavoro grazie al Jobs Act e che il mondo del lavoro si è ripreso leggermente solo grazie a fattori esterni positivi (crollo del prezzo del petrolio, svalutazione dell’euro e Quantitative Easing).
Ma c’è di peggio. Questi 230.000 nuovi posti di lavoro sono di pessima qualità. Non solo il contratto a tutele crescenti, che è indeterminato solo di nome, dato che garantisce estrema facilità di licenziamento al datore di lavoro, ma anche i tirocini e i contratti giovanili attivati con il programma europeo Garanzia Giovani.
Sui 230.000 nuovi posti di lavoro, infatti, 136.000 sono tirocini non pagati e 32.000 sono giovani pagati una miseria con la scusa del programma europeo che è costato ben 1,5 miliardi di euro. Garanzia Giovani è stato un fallimento indecoroso. Su quasi 1 milione di giovani registrati, solo 223.800 sono stati presi in carico dai centri per l’impiego, e un misero 3,7% (i 32.000 di cui sopra) ha trovato un lavoro, spesso a condizioni vergognose. Sono i numeri del rapporto Isfol di marzo.
Sottraendo ai 230.000 nuovi lavoratori i tirocini e gli occupati con Garanzia Giovani, rimangono solo 62.000 occupati legati al Jobs Act. Ma è proprio così? No, se si considera che il Jobs Act non è una misura di stimolo dell’occupazione ma di incentivo alle trasformazioni dei contratti a termine in contratti a tutele crescenti. I 62.000 lavoratori in più, quindi, sono opera della decontribuzione per le imprese. C’è un solo problema. Questa misura, peraltro depotenziata rispetto alla legge 407/1990 già esistente, è costata alle casse dello Stato 12 miliardi nell’arco di tre anni. Un’enormità, se si considera che in Italia declinano da anni gli investimenti pubblici produttivi, ingredienti fondamentali di qualsiasi ripresa strutturale dell’economia e dell’occupazione.
E se veniamo ai dati del 2016 la musica non cambia, anzi peggiora. Dopo che a gennaio si è sgonfiata la bolla di assunzioni a tutele crescenti, a febbraio il tasso di disoccupazione ha ricominciato a salire, attestandosi all’11,7%. Gli occupati sono calati di 97.000 unità e gli inattivi sono saliti di 57.000. Notizie pessime e “ripresina” già finita.
L’azione di Governo sul lavoro è stata quindi inclassificabile: peggioramento delle condizioni di vita dei neoassunti, pochissimi nuovi posti di lavoro nonostante le fortunate condizione esterne e spreco imperdonabile di soldi pubblici per gonfiare una bolla di nuovi contratti già esplosa con l’inizio del 2016.