Soldati in Libia. Destabilizzazione, immigrazione, terrorismo: è questo che vuole il governo?

GuerrainLibia.jpg
Lo chiede oggi il M5S con un Question Time al Ministro degli Esteri: non ritiene il governo che l’invio di militari italiani in Libia possa causare una maggiore destabilizzazione dell’area, con conseguente rischio di aumento tanto dei flussi migratori quanto di attentati terroristici contro il nostro contingente e in territorio italiano?
La situazione della Libia è ad uno stallo politico, e Renzi ha più volte dichiarato che l’Italia interverrà solo se il Governo libico chiederà a noi e al resto della comunità internazionale un sostegno. Ebbene: tale richiesta è arrivata, a molti Paesi ed anche all’ONU, e stampa e politica si abbandonano ora a dare i numeri sull’entità del nostro contingente nonché sul “ruolo di primo piano” che l’Italia dovrebbe ottenere. 300, 500, addirittura 5000 uomini come si andava sbandierando qualche settimana fa? Non si sa.
Una sola cosa per noi è certa: che non è il caso di imbarcarsi in una nuova guerra alle porte del nostro Paese, una guerra che non sarebbe combattuta solo contro lo Stato Islamico dell’Isis ma anche contro le milizie del generale Haftar -che è ad oggi il principale opponente del governo insediato-, armato dagli Emirati Arabi nonché sostenuto da Francia ed Egitto. Inoltre, i militari italiani sarebbero impiegati nel quadro di una forza ONU, il cui compito sarebbe principalmente proteggere i pozzi petroliferi che Francia e Gran Bretagna, sempre pronte a colonizzare, sono impegnate ad accaparrarsi per una futura spartizione. Il nostro Paese dovrebbe allora impegnarsi in una guerra per la convenienza altrui? E magari, con una legittimazione parlamentare ottenuta in fretta e furia e spinta dai soliti “Ce lo chiede l’Europa! Ce lo chiede l’ONU! Ce lo chiedono gli alleati!”, ce lo chiede insomma chiunque tranne il popolo italiano e probabilmente anche quello libico, che di voce in capitolo non ne ha mai avuta.
La verità è che in Libia non esiste ancora un governo pienamente funzionante né con una legittimazione parlamentare: l’esecutivo di Al Serraj, dal chiuso di un bunker, si limita a “governare” alcune istituzioni principali e basta. E non c’è ancora traccia di risoluzione ONU riguardo al da farsi in Libia. Il succo delle “grandi manovre” a cui assistiamo? L’abituale corsa frenetica ad prendersi per primi le risorse di un Paese inerme, diviso e quindi facile preda. Al di là del giudizio morale che implica il partecipare a una rapina del genere, l’invio dei nostri soldati è un’avventura il cui risultato sarà solo l’aumento dei barconi e il conseguente rischio terroristico.
Il governo italiano vuole davvero prendersi la responsabilità dell’ennesima “esportazione di democrazia” a scopo “umanitario”?