Ilva, ancora fumo negli occhi: si compra tempo a danno dei cittadini

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Il governo con questo decreto legge Ilva getta ancora una volta fumo negli occhi dei lavoratori, dei tarantini e dei parlamentari che non hanno potuto esercitare le loro legittime prerogative legislative, visto che siamo arrivati all’undicesimo provvedimento di stampo governativo e non parlamentare, e considerato che è stata posta una questione di fiducia al Senato ancor prima di avviare la discussione generale. E anche questa volta molti nodi rimangono irrisolti.
Questo decreto Ilva è l’undicesimo dal 2012, il quinto varato dal governo Renzi. Da un punto di vista economico, negli ultimi quattro anni lo stabilimento siderurgico di Taranto ha perso 3 miliardi e 90 milioni di euro, all’incirca. Il mito che fosse una società competitiva a livello nazionale e internazionale è falso. È un carrozzone pieno di debiti che non si sa chi dovrebbe ripianare, visto che ad ogni decreto cambiano le carte in tavola.
Quando il governo, gli imprenditori, i ministri, si riempiono la bocca con gli interessi della città e dei lavoratori, si ricordino che l‘Ilva ha prodotto acciaio che gronda sangue. A Taranto ci sono duecentomila persone che subiscono gli effetti sanitari di ciò che viene deciso nelle stanze del potere, spacciato come necessario per salvare 12 mila posti di lavoro. Ma se guardiamo i dati occupazionali, nel tarantino la disoccupazione è cresciuta negli ultimi 5 anni e sommata al tasso di inoccupazione si arriva al 47%, quindi l’Ilva non ha risolto, né risolverà mai, i problemi occupazionali di questo territorio. Con gli ammortizzatori sociali per 12 mila persone si spenderebbe meno che mantenere questi posti di lavoro, che hanno un costo sociale e sanitario altissimo.
Per quanto riguarda le bonifiche è stata introdotta alla Camera una norma che dice: bisogna fare una mappatura di tutte le zone contaminate all’interno dello stabilimento. Fino agli anni ’70 la normativa permetteva di smaltire le scorie di lavorazione, di qualunque livello di tossicità, fossero smaltite all’interno dello stabilimento. Seguendo questo principio, lo stabilimento è tutto contaminato e gli operai lavorano in condizioni di accertato pericolo. Può esserci amianto, diossina, e quanto altro: staremo a vedere quali altre sorprese ci riserverà il sottosuolo e la falda acquifera.
Sulla questione ambientale, nel decreto è scritto che chi compra l’Ilva non è responsabile dell’inquinamento pregresso, quindi non paga. I Riva che lo hanno gestito per una vita non pagano, perché non hanno i soldi. Allora chi paga? E quando? E nel frattempo cosa si fa? Mistero.
Il termine per realizzare il piano degli interventi ambientali e sanitari viene spinto in avanti. Gli eventuali acquirenti avranno la facoltà di rinegoziare l’AIA come vogliono loro. Un comitato di esperti avrà 120 giorni di tempo per esaminarlo. E poi però ci saranno ulteriori step di rinegoziazione tra l’acquirente e lo Stato. Senza alcun progetto esecutivo.
Si sta comprando tempo facendolo pagare ai cittadini italiani. I 300 milioni di finanziamenti statali dati all’Ilva, sono stati incrementati con ulteriori due linee di credito chieste dai commissari straordinari, per un totale di 530 milioni. Soldi che avrebbero dovuto essere spesi per misure di tutela sanitaria e ambientale. Di questa cifra soltanto 860.500 euro sono stati impiegati per questo e 529 milioni di euro sono stati spesi per fare altro.
Per di più, i debiti con lo Stato contratti dall’Ilva avrebbe dovuto restituirli il nuovo acquirente, invece adesso con questo decreto saranno restituiti dall’amministrazione straordinaria, che non è un soggetto giuridico. Se non lo fa, i commissari non saranno perseguiti perché non sono civilmente e penalmente responsabili. È stata quindi nei fatti istituita una bad company, una società che non esiste e per la quale pagheranno tutti i cittadini italiani.