Bombe saudite sulle Yemen, provenienza Made in Italy. Stiamo violando la legge?

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Una MK82 è una bomba. Quando sull’involucro si legge “inert” significa che è “inerte”, vale a dire che non esplode. Dunque l’involucro resta intatto e rivela chiaramente codici e numeri che, in questo caso, parlano italiano.
In una MK82 ritrovata in Yemen, l’identificativo “Ncage Code” (Nato, Commercial And Government Entity ) ci dice tre cose:
-chi ha prodotto l’involucro dell’ordigno: la IMZ spa di Vicenza;
-che la bomba è passata per la Direzione Generale degli Armamenti Aeronautici, quindi per il nostro ministero della Difesa;
-che poi il ministero della Difesa italiano deve averla inviata a una terza società, con base in Germania, la Rwm, che a sua volta avrebbe come ultimo passaggio venduto l’ordino all’Arabia Saudita.
In sostanza, questa bomba prima di essere sganciata da Riad sullo Yemen (seppure come involucro vuoto) era del nostro ministero della Difesa. Se la notizia fosse confermata sarebbe gravissimo, perché evidenzierebbe una chiara violazione da parte del governo della legge 185 del 1990, che vieta la vendita di armi a Paesi in guerra.
Su questo il ministro Pinotti deve dare immediate risposte!
1. Com’è infatti possibile che bombe con codice del nostro ministero della Difesa-Direzione generale degli armamenti siano finite sulla testa della popolazione yemenita?
2. E perché il ministero dell Difesa italiano ha ceduto l’ordigno a una società tedesca, che ora tra l’altro ha aperto una filiale anche a Brescia…?
3. Lo ha fatto forse per aggirare il divieto della legge 185 del 1990?
La Pinotti non creda di poter fare l’indiano anche in questa circostanza. Non può e non poteva non sapere.
Ci spieghi inoltre perché, nella sua recente visita in Arabia Saudita, ha pensato di farsi accompagnare dal segretario generale della Difesa e direttore nazionale degli armamenti Carlo Magrassi, cosa del tutto inusuale e che fa pensare a nuove commesse di armi italiane ad un paese in guerra.
Negli ultimi anni l’export di armi da guerra italiane è triplicato, con un giro d’affari passato dai 2,9 miliardi di euro del 2014 agli 8,2 miliardi nel 2015. In particolare a giovarne è stata propria l’Arabia Saudita, accusata – tra le altre cose – di finanziare indirettamente organizzazioni terroristiche. Il valore dell’export di armi ‘made in Italy’ verso Riad autorizzato nel 2015 è salito a 257 milioni dai 163 milioni del 2014.