Dieci anni dopo, la Pinotti ci rispedisce in Iraq

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Da ieri è in corso un’offensiva da parte dell’esercito iracheno, supportato dalla coalizione internazionale, per liberare dall’Isis la città di Mosul, in Iraq, dove un contingente di nostri militari è al momento impegnato nella salvaguardia della diga.
Il ministro Pinotti questa mattina in tv -tanto per ribadire la sua totale distanza dalle istituzioni- ha assicurato che i nostri soldati non saranno coinvolti nella battaglia. Come fa ad avere tante certezze? L’Isis ha dato il via a un uso massiccio di veicoli-bomba guidati da kamikaze, tanto che solo ieri ne hanno lanciati 11 in appena 2 ore. In più sono presenti in città cecchini, trappole esplosive e mine piantate dal Califfato.
Insomma, la possibilità che i nostri possano essere attaccati da qui in avanti non è purtroppo così remota come si sente di garantire il ministro. Ad esempio, il ministro Pinotti come pensa di cambiare le regole di ingaggio attribuite al contingente di Mosul e agli uomini dispiegati ad Erbil in caso di attacco? Al fuoco come risponderemo?
Ci piacerebbe sapere anche se ci sarà un rafforzamento per affiancare le 1.400 unità, tra settore aereo e settore terrestre, che conta il nostro Paese in Iraq, o un ritiro dei nostri uomini. E quando ci ritroveremo nel pieno della guerra, cosa che già si sta verificando in queste ore, come reagirà l’Italia?
Si usano frasi come “l’Italia farà la sua parte”, formula il cui significato è solo “obbediamo ad ordini altrui”, e infine ci si ritrova nel mezzo di un teatro di guerra che mette a forte rischio l’incolumità dei nostri uomini.
A dieci anni dal ritiro delle truppe dall’Iraq, si ripete il solito modus operandi ad uso e consumo dell’opinione pubblica: si comincia con la scusa dell’addestramento, si passa alla formazione, poi al soccorso “umanitario”, infine alla messa in sicurezza di punti strategici. Negli ultimi anni tre Renzi ha praticamente ha lanciato uno spiegamento di forze da rabbrividire, aprendo un altro fronte in Libia, rafforzando quello in Afghanistan, tornando in Iraq e autorizzando l’invio di ulteriori 150 militari in Lettonia, al confine russo.
Se non è questa una campagna guerrafondaia, come vogliamo chiamarla?