Caporalato: arrestati gli sfruttatori di Paola ma la legge è carente

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Paola Clemente lavorava nei campi pugliesi come bracciante agricola, usciva di casa alle 3:30 del mattino, quando passava a prenderla il furgone del caporale, e finiva di raccogliere l’uva alle 15:30 del pomeriggio, in cambio di 30 euro al giorno. È stata stroncata da un infarto nell’estate del 2015, al termine dell’ennesima giornata di sfruttamento. L’arresto delle persone coinvolte a vario titolo (caporalato, sfruttamento, intermediazione illecita) nella sua morte, svela un altro pezzo del sistema di connivenza, omertà e sfruttamento della manodopera che si nasconde dietro il fenomeno del lavoro agricolo gestito dai caporali.
Dalle indagini coordinate dalla procura di Trani emerge un sistema vessatorio che non veniva denunciato dalle braccianti: avevano troppa paura di essere identificate e schedate dai caporali, e perdere così quel lavoro, seppure sottopagato. Su questo punto la legge sul caporalato, approvata lo scorso ottobre, appare come l’ennesima norma spot del Governo e mostra una grave pecca: non permette ai braccianti di denunciare in forma anonima i caporali.
Il Movimento 5 stelle aveva proposto l’istituzione di un “telefono rosso” anonimo per aiutare i lavoratori sfruttati, a denunciare, ma è stato bocciato dalla maggioranza. Si voleva dare centralità ai lavoratori, restituendo a loro la dignità che toglie il caporalato. Invece gli effetti di questo fenomeno sono ancora sotto gli occhi di tutti.
I numerosi casi di cronaca che sono stati denunciati dai portavoce del Movimento con delle interrogazioni, tra le altre, in Senato da Donno e alla Camera da Bernini, sono solo la punta di un iceberg che devasta l’economia agricola del sud e la dignità dei lavoratori. Continueremo a tenere alta l’attenzione sul caporalato, al fianco dei lavoratori e contro ogni sfruttamento.