Partecipate: altro che “giglio tragico”, gli asset strategici devono restare allo Stato

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Le partecipate dello Stato, soprattutto quelle che operano in settori strategici, non possono diventare orticelli in cui coltivare “gigli tragici” o gli interessi delle solite cricche. Ecco perché bisogna rovesciare la visione da cui scaturiscono le recentissime nomine dei loro vertici. Una rivoluzione che solo il M5S al governo potrà fare.
A parte il Parlamento regolarmente esautorato, la politica dovrebbe impostare una mission trasparente per le controllate, un set di obiettivi chiari e vincolanti, legati al servizio svolto in favore dei cittadini (energia, trasporti, infrastrutture, Tlc…).
Invece, negli ultimi anni e ancora adesso, le imprese di Stato vengono usate per soddisfare le mire privatistiche di chi decide le nomine e di chi, naturalmente, viene nominato oggi per poi restare grato domani.
Il M5S ha presentato una mozione alla Camera, promossa dai portavoce Giorgio Sorial e Andrea Vallascas, che mette al bando il clientelismo e privilegia la meritocrazia. Un documento che impegna il governo a garantire davvero il mantenimento in Italia degli asset strategici e la ricchezza (ricavi, margini, occupazione, ecc…) che la loro gestione può generare.
Secondo la visione Cinquestelle, lo Stato deve mantenere un controllo forte di orientamento (e di veto, se serve) circa le operazioni importanti (fusioni, dismissioni, spin-off, delocalizzazioni…) che riguardano le imprese strategiche. Anche attraverso una progressiva azione di ripubblicizzazione delle quote.
Poi, le imprese straniere, magari concorrenti, che rilevano una quota delle nostre partecipate superiore al 5%, devono avere stabile organizzazione su territorio italiano. In pratica, la ricchezza creata grazie ai nostri asset societari deve restare qui e non volare via.
A prescindere dalla partecipazione societaria, lo Stato deve mantenere un controllo ferreo delle imprese strategiche in settori come i trasporti, le telecomunicazioni, la gestione della risorse pubbliche, la sicurezza/difesa e il benessere dei cittadini (estendiamo i comparti oggetto di golden power).
E poi non possiamo tollerare la conferma di manager sotto indagine come Claudio De Scalzi all’Eni o la scelta di un banchiere come Alessandro Profumo ai vertici di Leonardo, considerando che l’ex presidente Mps non ha certo rilevanti esperienze professionali nell’aerospazio (ma forse serve uno come lui per ridurre Finmeccanica a uno spezzatino?).
Per noi i dirigenti delle grandi partecipate devono passare il vaglio dei setacci costituiti da chiari criteri di professionalità, onorabilità, indipendenza e assenza di eventuali conflitti di interessi. Dunque, non devono avere procedimenti giudiziari in corso, non possono fare più di due mandati consecutivi, non devono aver avuto incarichi governativi negli ultimi cinque anni, non possono detenere partecipazioni in aziende fornitrici, clienti o concorrenti con l’impresa o ente che guidano (in riferimento pure a parenti fino al quarto grado), non devono infine ricoprire cariche dirigenziali in aziende fornitrici, clienti o concorrenti nel quinquennio successivo alla fine del mandato.
Bisogna gestire i fenomeni e non subirli.
Non possiamo sopportare questa continua emorragia di ricchezza e di posti di lavoro. La svendita dei nostri asset ci sta condannando a una “grecizzazione” dell’economia. Questo governo fotocopia e il Mef, nel ruolo di “spicciafaccende”, stanno facendo ancora gli interessi della cricca fiorentina.
Il M5S non ci sta e si prepara ad andare al governo per rovesciare la prospettiva.
Giorgio Sorial e Andrea Vallascas