Privatizzazioni: lo Schettino Letta, e le larghe svendite
I pezzi dell’argenteria rischiano di finire al mercatino. Una svendita per ricavarne quattro soldi da rigirare agli strozzini che speculano sul nostro debito? La puzza di bruciato c’è e a pensar male si azzecca quasi sempre. D’altronde basta vedere cosa c’è scritto nel documento del governo “Destinazione Italia” per farsi un’idea abbastanza chiara.
Dopo i piani draconiani di dismissione targati Vittorio Grilli e andati bellamente in fumo, ecco che Letta ci riprova a farsi ricordare come capo del governo delle larghe svendite. E i nomi che girano sono sempre un po’ quelli: Eni, Enel, Finmeccanica, Poste, Ferrovie o persino la Rai. Poi, però, si aggiungono le new entry come Terna o Fincantieri.
La cessione delle quote del Tesoro in Eni, fino al 4,34% (non il restante 25,76% che fa capo a Cdp) può valere circa 3 miliardi. Ma vendere il 4 o il 5% di Enel e Finmeccanica, magari ritoccando nel frattempo al ribasso la soglia dell’Opa e rafforzando il golden power per non perderne il controllo, frutterebbe appena un miliardo e mezzo complessivo.
Totale derivante allora da una dismissione “controllata” di Eni, Enel e Finmeccanica? Circa 4,5 miliardi…appena quello che serve per coprire lo scherzetto dell’Imu prima casa 2013. La sola Enel, però, contando dividendi, imposte e stipendi, ha dato alla nostra collettività quasi 200 miliardi nell’ultimo quindicennio. Conviene allora dismettere?
Letta ha detto che sta pensando pure a piazzare sul mercato il 4,9% di Terna, la società che gestisce la rete elettrica. Valore plausibile? Meno di 350milioni di euro. Non certo una svolta. Tra l’altro Terna è già passata sotto il regime della Cassa depositi e prestiti, così come un’altra società nel mirino della svendita che è Fincantieri (in Cdp attraverso Fintecna).
La Cassa è però fuori dal perimetro del debito pubblico: non a caso lo Stato l’ha già utilizzata per fare qualche soldo vendendole Sace, Simest e Fintecna durante il governo Monti. E’ mai possibile pensare di far cassa con le vendite di Cdp dopo aver fatto cassa con le vendite a Cdp?
Inoltre Fincantieri non può certo fruttare miliardi e miliardi. Ha un valore residuo di immobili, macchinari e impianti che non arriva a 600 milioni e ha meno di un miliardo di patrimonio netto. Dismettendone una quota pur rilevante non si risolve certo il problema del debito.
Considerando fatturato e utili, Poste Italiane potrebbe invece valere in Borsa 5-6 miliardi di euro. Dunque venderne un terzo o la metà potrebbe forse fruttare 2-3 miliardi.
Totale dei proventi ipotetici finora elencati? Appena 7-8 miliardi. Il clamoroso equivalente di mezzo punto di Pil, i soliti affari di Maria Calzetta.
Occhio dunque al rischio di un nuovo “Britannia” 21 anni dopo. Magari in favore dei soliti amici e amici degli amici. Caro Letta, stai attento, il panfilo dei potenti stavolta rischia di chiamarsi Costa Concordia. Vuoi essere ricordato quale novello Schettino?