La (finta) riforma Rai

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Le mani della politica sul servizio pubblico radiotelevisivo non sono un semplice esercizio di potere. La maggior parte degli italiani, nonostante il crescente accesso al web, ancora oggi si informa tramite la televisione. E perché in tv si parla poco o nulla di temi scomodi come il Ttip e la difesa del made in Italy oppure dello strapotere della finanza? Non è un caso, lo decidono i direttori dei tg, i vicedirettori, i caporedattori. E chi è che nomina direttori e vicedirettori? Il consiglio di amministrazione della Rai! Ecco perché i partiti vogliono tenere i propri artigli sul cda: significa tenere le mani sull’informazione, fare una telefonata che cambia una scaletta o inserisce una notizia. Non è un caso che partitini da zero virgola trovino spazio e visibilità decisamente sproporzionata e altri senza padrini – come il M5S – invece siano penalizzati.

Gli italiani vorrebbero un’azienda italiana che investa su prodotti italiani, portando uno sviluppo del mercato. Invece gli appalti premiano sempre gli stessi, e nessun contributo alla crescita culturale del Paese viene dato dalla Rai.

Per questi motivi il Movimento 5 Stelle avrebbe voluto un consiglio di amministrazione completamente libero dai partiti. Così non sarà perché Forza Italia e Pd si sono messi d’accordo, oggi il Senato ha approvato la proposta di Renzi ma solo in prima lettura, per cui non entrerà in vigore. Una proposta ammaccata, tanto che il governo è stato battuto sull’articolo 4, quello che prevedeva una delega in bianco all’esecutivo per riformare il canone magari facendo finta di cancellarlo piazzandolo nella bolletta dell’elettricità. Nel complesso cambia poco, nei prossimi giorni verrà eletto il cda con la vecchia legge, quella che porta il nome di Gasparri

La lottizzazione continua.