Rapporto Istat 2016: l’Italia piange miseria

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Il rapporto Istat 2016 non lascia spazio a dubbi: l’Italia si sta assestando a livelli tragici, che ricordano l’esito di una guerra. Non si tratta, ad oggi, di una guerra in senso stretto, ma di una spoliazione economica delle ricchezze e del benessere degli italiani. Vediamo nel dettaglio qualche fotografia del nostro presente:
OCCUPAZIONE: l’Istat certifica il sostanziale fallimento del Jobs Act. Se il tasso di disoccupazione ufficiale è sceso di poco dal record storico del 13% e oggi si attesta ancora all’11,9%, il tasso di mancata partecipazione (che comprende anche coloro che possono lavorare ma non cercano più occupazione) si attesta al 22,5%. È questo il numero (spaventoso) da tenere come riferimento. L’Istat ci dice anche che a tre anni dalla laurea, solo il 53,2% dei giovani trova un lavoro adeguato agli studi, mentre quasi la metà ha di fatto gettato al vento 5 o più anni di tasse universitarie, spesso pagate con il sangue delle famiglie.
REDDITI DELLE FAMIGLIE: a questo proposito il dato principale riguarda la percentuale di famiglie senza reddito: sono passate dal 10% del 2010 al 14,2% del 2015, mentre al Sud sono addirittura il 24,5% (1 su 4). Una piaga che spesso trova sfogo solo nel lavoro nero (con corrispondente evasione) e nella criminalità. Ipocriti quei politici di Governo e di maggioranza che si lamentano degli evasori e della mafia, salvo poi condannare l’Italia al sottosviluppo.
POVERTÀ: a interessare, oltre all’altissimo numero di poveri (sotto i 780 euro di reddito) è l’indicatore di grave deprivazione materiale. Anche in questo caso numeri sconvolgenti, dato che in queste condizioni si trova l’11,5% della popolazione, in aumento sul biennio 2013-2014. Nel Mezzogiorno la quota è tripla rispetto al resto d’Italia, a conferma che la questione meridionale sta riesplodendo in tutta la sua forza e il Governo, a parte gli annunci, sta a guardare.
PROTEZIONE SOCIALE: la spesa è in aumento, dato che la popolazione invecchia e la lunga crisi produce disoccupati e sussidi statali, ma sale meno che negli anni passati. Le forbici dell’austerità vanno a tagliare anche l’ultima frontiera prima della povertà. E intanto l’età pensionabile aumenta, in media, dai 62,8 ai 63,5 anni (pensioni di vecchiaia), e aumentano anche gli anni di contributi necessari al pensionamento. Un disastro targato Fornero e confermato dai Governi seguenti, compreso l’attuale. È evidente che in questa situazione i giovani faticano ancor più a trovar lavoro. La natalità diminuisce di conseguenza, anche perché dopo il Jobs Act il lavoro è ancora più precario e progettare il futuro è diventato impossibile. Ipocriti, di nuovo, i politici di Governo e maggioranza che lamentano la bassa natalità e propongono di estendere il bonus bebè. Da una parte massacrano le nuove generazioni, dall’altra le regalano le briciole. Naturale, da questo punto di vista, che il Governo sia favorevole ad un’immigrazione senza controllo. Servono nuove leve, giovani e disposte a paghe più basse. Sul conflitto generazionale tra italiani si innesta così anche quello tra italiani e stranieri, che tanto fa comodo a chi ci sgoverna.
I numeri della tragedia italiana non finiscono qui, ma tanto basta per condannare la politica economica di un Governo che predica rivoluzioni inesistenti mentre ci trascina nel baratro.