Mentre fissiamo le briciole, si divorano la pagnotta!


IMU, IVA, TARSU, TASI, TARES, TRISE…: termini ostici che il cittadino fatica a comprendere appieno. Eppure è su questi che si concentra la battaglia politica ed è su questi che si accendono continuamente i riflettori dei media.
Ma ci sono altri termini, poco immediati, che nessuno conosce: in confronto ai primi hanno un impatto sulla nostra economia superiore anche di cento volte. Tuttavia, nessuno ne parla. Vengono nascosti nelle ultime pagine dei giornali e vengono trattati dal Parlamento senza che trapeli una sola discussione, una sola spiegazione, senza che vi sia apparentemente nessun confronto politico, né acceso né tenue.
Sono contenuti nel dizionario di Bruxelles, quello del “Ce lo chiede l’Europa”. Si chiamano MES, LTRO, Fiscal Compact, Redemption Fund… Sono il frutto della religione dell’austerità, valgono centinaia di miliardi di euro, sottraggono ogni residuo di sovranità agli Stati che li fanno propri e condannano i governi a non poter investire nella spesa sociale e nell’economia reale.
Grazie al Fiscal Compact siamo condannati a trovare ogni anno 50 miliardi, tra tasse e tagli, per vent’anni. Grazie al MES abbiamo già pagato 15 miliardi di euro (che ora una organizzazione privata sta paradossalmente investendo in titoli tedeschi, finanziando l’economia di chi ci chiama “maiali”) e ci siamo indebitati per altri 125 miliardi, solo per “tranquillizzare” i detentori esteri dei nostri titoli di Stato.
Cifre da capogiro, che da sole basterebbero a riavviare la nostra economia, a ridare fiato alle nostre imprese, a fare del nostro Paese uno Stato florido, a rendere inutili per qualche anno tasse come l’IMU e l’aumento dell’IVA. Eppure nessuno sa cosa siano. Nessuno ne è stato informato. Ogni dibattito è stato precluso. Abbiamo firmato assegni in bianco, che i destinatari possono compilare con qualunque cifra a piacimento, ma l’opinione pubblica viene costantemente dirottata altrove: ci costringono a fissare le briciole mentre il grosso della pagnotta viene divorata altrove.
Abbiamo fatto un giro per le strade per verificare quanto i cittadini ne sapessero di MES e Fiscal Compact. Il risultato (sconfortante) è quello che potete vedere nel video in testa al post.
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Di seguito, un breve compendio di facile comprensione. Imparatelo almeno voi.
MES – Meccanismo Europeo di Stabilità
Altrimenti detto Fondo Salva Stati. E’ un trattato approvato nel luglio 2012, di cui i media hanno dato notizia con 5 righe e mezza a pagina 7 del giorno dopo, che ci ha impegnati a versare 15 miliardi di euro a un’organizzazione con sede a Lussemburgo a titolo di anticipo (finiti a finanziare il welfare tedesco), che ci ha inoltre impegnati a versare altri 125 miliardi di euro in caso di aggravamento della crisi, che ci ha poi impegnato a indebitarci illimitatamente, a discrezione del consiglio direttivo di un’organizzazione finanziaria sulla quale il nostro Parlamento, presente o futuro, non ha alcun controllo e neppure la facoltà di leggerne la produzione documentale interna. E in caso di necessità, ovvero nel caso chiedessimo di essere “salvati”? Il MES servirà unicamente a concederci il beneficio di poterci indebitare ulteriormente, prendendo a prestito soldi a tassi di mercato. Un’assicurazione, insomma, che prevede un premio ma che, in caso di sinistro, anziché pagarti i danni, ti dà il permesso di fare nuovi debiti per retribuire il carrozziere.
Il MES è stato già giudicato incostituzionale dalla Germania, che ha così modificato il trattato rispetto a quello ratificato da noi (rendendo i conferimenti in denaro non più automatici ma dipendenti da una determinazione del Parlamento e autorizzando il Parlamento stesso a leggere i documenti prodotti a Lussemburgo). Il che rende conseguentemente il MES incostituzionale anche per noi, giacché rappresenta una limitazione di sovranità che avviene non più in condizioni di parità con gli altri stati membri, così come disciplina l’art. 11 della nostra Costituzione. Ma chissà: cambieranno anche quello (o quel che ne resta)?
Fiscal Compact
E’ un trattato che introduce meccanismi di stabilità, coordinamento e governance nell’unione economica e monetaria, e che mira «a salvaguardare la stabilità di tutta la zona Euro». Il “patto” prevede che i Paesi che detengono un debito pubblico superiore al 60% del PIL rientrino entro tale soglia nell’arco di 20 anni. Siccome il nostro debito pubblico è superiore del 120% al nostro Pil, noi dovremo rientrare in vent’anni del 60%. Si parla di tagli o nuove tasse per 50 miliardi all’anno, giacché con il Pareggio di Bilancio, parte dello stesso trattato di stabilità (inserito nella Costituzione con una modifica trasversale e silenziosa all’articolo 81 avvenuta nell’aprile del 2012), non è possibile finanziare lo stato sociale o l’economia senza assicurare l’equilibrio tra le entrate e le spese del bilancio.
Anche il Fiscal Compact, secondo giuristi noti come l’ex Ministro delle Finanze Giuseppe Guarino, non sarebbe applicabile, poiché in contrasto con il Trattato sull’Unione, che recepisce il Trattato di Lisbona, il quale recepisce a sua volta il Trattato di Maastricht che fissa al 3% il parametro del deficit di bilancio. Nello stesso trattato che istituisce quello che in gergo viene appunto denominato “Fiscal Compact”, si asserisce infatti chiaramente e in più punti: “il presente trattato si applica nella misura in cui è compatibile con i trattati e il diritto europeo”. Lo stesso Guarino definisce quindi il Fiscal Compact “frutto di trucchi, imbrogli, arbitri e illegalità“.