Armi italiane in Iraq. Le ragioni del no nella risoluzione M5S

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L’Italia invierà aiuti militari ai curdi nell’ambito della crisi in Iraq. E’ stato formalmente deciso oggi in commissioni congiunte Esteri-Difesa di Camera e Senato, dopo l’audizione dei ministri Mogherini e Pinotti. Il Movimento 5 Stelle si è dichiarato da subito contrario all’invio di armi: preme invece perché si rinforzino gli aiuti umanitari a sostegno della popolazione colpita, si metta a disposizione dei curdi il nostro lavoro di intelligence e un intervento di mediazione, di concerto con gli altri Paesi, che ci veda in prima linea come presidenti di turno dell’Unione Europa.
Per rafforzare questa posizione è stata presentata una risoluzione dal Movimento 5 Stelle con l’intento di spingere l’assemblea al voto. Ecco le nostre ragioni nel testo che abbiamo presentato:
Le commissioni Affari Esteri e Difesa della Camera dei Deputati
Impegnano il governo italiano:
A dichiarare l’attuale indisponibilità della Repubblica Italiana all’invio di armi e di truppe in Iraq e in Siria, contestualmente alla creazione di una cabina di regia che informi il Parlamento sullo stato della situazione nel territorio indicato, al fine di valutare prontamente eventuali azioni;
A dichiarare la disponibilità a fornire equipaggiamenti non letali a protezione della vita umana, giubbotti antiproiettile, elmetti (prelevate dal surplus risultante dalla riorganizzazione derivante dai decreti delegati della Legge 244/2012), nonché supporto di intelligence tecnologicamente avanzato, finalizzato all’individuazione delle forze dell’ISIS, ai fini di una miglior difesa delle forze curde presenti nell’area;
Ad assumere una iniziativa internazionale per il cessate il fuoco, la smilitarizzazione delle città contese, l’apertura di corridoi umanitari, il ripristino delle forniture di acqua potabile e di energia elettrica, il sostegno e l’accoglienza ai profughi come precondizione per il ritorno in sicurezza degli stessi nei loro villaggi e case;
A chiedere, anche in forza della presidenza del semestre italiano della UE, che l’Europa si presti come facilitatrice di una Conferenza di Dialogo Politico tra le parti, che preveda anche meccanismi di secondo livello per la partecipazione delle società civile. Tale ruolo potrebbe essere svolto con legittimità ed efficacia molto più dall’Europa che dagli Usa, che hanno perso, negli anni dell’occupazione militare in IRAQ, peso e prestigio politico;
A promuovere, in ultima istanza, un’indagine in sede ONU per la ricerca e la tracciabilità di tutte le fonti monetarie che finanziano forza armate irregolari e/o non riconosciute ufficialmente nell’area oggetto della Risoluzione.
A chiedere inoltre:
Agli “Amici della Siria” di cessare immediatamente di rifornire finanziamenti e supporto ai gruppi jihadisti. In caso di risposta negativa a far uscire l’Italia da questa organizzazione;
Al governo Turco di porre fine all’embargo economico con le regioni libere di Rojava, consentendo la piena fruizione dei valichi di frontiera non controllati dall’ISIS e ad operare affinché la sperimentazione democratica dei tre cantoni di Rojava in Siria possa rafforzarsi dentro la prospettiva di un Paese libero, democratico e pluriconfessionale;
Al governo iracheno di cessare di armare civili e milizie irregolari sciite spesso corresponsabili della violenza settaria, quanto i combattenti irregolari sunniti;
Di assumere nei confronti di tutte le altre componenti politiche del mondo curdo, una interlocuzione indispensabile per dare una soluzione giusta e rispettosa del diritto internazionale e di tutte le minoranze della questione curda, a fronte delle premesse indicate ed in considerazione dell’innegabile credibilità che le popolazioni curde si sono conquistate;
LE PREMESSE
La proclamazione di un califfato tra la Siria e l’IRAQ, da Aleppo a Diyala, sul modello dell’Impero Ottomano, da parte dell’ISIS (Esercito dello Stato Islamico dell’IRAQ e del Levante) e guidato dal leader jihadista Al Baghdadi, rappresenta una novità sullo scenario mediorientale i cui elementi di tragica modernità e la forte attrazione che quel modello esercita specialmente sulle nuove generazioni arabe – deluse dalla mancata accettazione delle richieste di maggiore giustizia sociale e di libertà delle Primavere Arabe e frustrate dalle politiche di guerra condotte dall’occidente direttamente o attraverso governi complici negli ultimi 30 anni- impone un cambio della politica intrapresa dalla comunità internazionale in quell’area. Un intervento armato occidentale diretto o indiretto contro l’ISIS rischia infatti di aumentarne le simpatie nelle popolazioni arabe invece di aprire, come sarebbe necessario, contraddizioni e divisioni tra l’ISIS e le altre componenti – nazionaliste ed islamico moderate – del mondo sunnita;
Al Baghdadi, gode di un prestigio crescente tra i musulmani sunniti mentre il suo movimento cresce a vista d’occhio avendo a disposizione oltre 10mila miliziani e finanziamenti e equipaggiamento militare mai avuti in precedenza da Al Qaeda. Armi e soldi che arrivano, copiosi, dal Golfo Persico, i cui emirati (per la maggior parte stretti alleati degli USA) sono stati impegnati in prima fila a sostenere ogni gruppo armato radicale sunnita in funzione anti-Assad. Se si vuole colpire l’ISIS occorre in primo luogo fermare questi finanziamenti le cui fonti sono tutte note all’intelligence Usa ed europea, avendone fatto ampio uso per destabilizzare la Siria;
Le stragi di civili, le esecuzioni sommarie di prigionieri, le conversioni religiose forzate, il ritorno dello schiavismo specialmente quello delle donne, non sembrano purtroppo appartenere solo all’ISIS, ma anche da altre componenti fondamentaliste che la politica settaria di Al Maliki in IRAQ e il sostegno a vere e proprie bande jihadiste da parte degli “Amici della Siria” in funzione anti-Assad hanno praticato nel silenzio della comunità internazionale dal 2011 in poi. Chi ha costruito questo disastro attraverso le varie guerre nel Golfo ed in Siria farebbe bene ad astenersi dal partecipare ancora a bombardamenti ed operazioni militari e a continuare a riempire quelle zona di nuovi armamenti;
Gli attacchi contro i cristiani e le altre minoranze non rappresentano una dinamica degli ultimi giorni, in IRAQ e in Siria. Molto prima della crescita in termini di potere dell’ISIS, da troppo tempo le comunità cristiane e sciite (che, tra l’altro, rimane la comunità di maggioranza in IRAQ) sono considerate dagli estremisti sunniti come infedeli, ladri e disprezzati in ogni modo.
In IRAQ e in Siria le minoranze perseguitate non sono solo quelle cristiane ma anche quelle di yazidi, shabak, bahá’í, armeni, comunità di colore, circassi, Kaka’i, kurdi faili, palestinesi, rom, turkmeni, mandei sabei. Si tratta di una immensa ricchezza umana, culturale e storica che ha sempre fatto dell’IRAQ un Paese plurietnico e multi religioso e che oggi rischia di essere cancellato dal fondamentalismo religioso e settario nemico dell’umanità;
Le minoranze in IRAQ, concentrate nella Piana di Ninewa, hanno ragioni storiche per cui avere paura. Del più di un milione di cristiani che vivevano in IRAQ nel 2003 ad oggi ne sono rimasti circa 400mila, costretti a lasciare il Paese in un clima di politiche settarie portate avanti anche dal ex-premier Al-Maliki;
CONSIDERAZIONI
L’attuale drammatica situazione è figlia diretta delle “guerre democratiche ed umanitarie” esportate in IRAQ dalle 1991 in poi dalle potenze della NATO, Italia inclusa, che hanno fatto implodere l’IRAQ e scatenare l’odio religioso nei confronti di chi professa confessioni diverse;
In tre cantoni della Siria, in particolare nella regione di Rojava, in risposta alla disgregazione dello stato centrale siriano e delle violenze settarie e confessionali, la popolazione a prevalenza kurda ma in verità multietnica e multi religiosa, si è organizzata per tutelarsi rendendosi autonoma a partire dal 2011. I gruppi politici locali hanno creato delle istituzioni autonome ed elettive nelle città del nord che amministrano. Hanno dato sinora accoglienza a molti sfollati dalle altre regioni della Siria e soprattutto hanno avviato una politica inclusiva per le molte minoranze presenti nel loro territorio;
In Rojava convivono gruppi di diversa cultura e religione e questa cosa dovrebbe essere incoraggiata e sostenuta dalla comunità internazionale. Tutti partecipano alla vita politica ed a settembre terranno le prime elezioni. Sul suo territorio si situano tre campi profughi ed accolgono 1 milioni di sfollati da altre aree della Siria. Hanno un accordo di non belligeranza con Assad, ma non ci collaborano. Anzi lo accusano di non far arrivare alcun aiuto nella loro area. Inoltre combattono contro l’ISIS proponendo una terza via democratica e di piena tutela di tutte le minoranze. Le esperienza di convivenza tra diversi dovrebbero essere valorizzate dalla comunità internazionale, anche attraverso un intervento sul governo di Ankara affinché cessi la politica di embargo nei confronti di questa zona libera della Siria, aprendo finalmente le frontiere agli aiuti e agli scambi commerciali ed economici da e per Rojava;
Già con l’ordine del giorno del MoVimento 5 Stelle 9/01670A-R/62, riformulato dal governo, si chiedeva di “utilizzare la missione diplomatica di cui al comma2 dell’art.6 (del decreto missioni) anche per ottenere dalla Turchia e dalla Regione Autonoma Kurda (KRG) l’apertura dei valichi per consentire il passaggio degli aiuti umanitari. Ad utilizzare inoltre la presenza del nostro funzionario al confine turco/siriano anche per il coordinamento degli aiuti umanitari italiani ai rifugiati in Turchia e nel Kurdistan iracheno e siriano oltre che per aprire un canale diplomatico con le autorità della Regione Autonoma Kurda”. Purtroppo, anche a seguito dell’approvazione di questo Ordine del Giorno, la delegazione di Rojava poteva entrare due volte nel parlamento italiano solo grazie all’iniziativa dei deputati del M5S e di SEL ma non è mai stata ricevuta da nessuna autorità governativa italiana. Evidentemente chi chiede pane, medicinali e la fine dell’embargo non ha lo stesso ascolto di chi invece chiede armi;
All’assoluta insensibilità dei governi occidentali alla vicenda curda, evidentemente per non irritare la Turchia potente alleato della NATO, si sostituisce oggi una politica di sostegno armato ai Peshmerga e comunque alle componenti militari kurde. Lo si fa senza alcun riconoscimento dei sacrosanti diritti di quel popolo – il PKK per esempio, continua ad essere inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche – ma con la pretesa di utilizzarli come “fanteria dell’occidente”, come “truppe di terra” coperte dai bombardamenti dei caccia e degli UAV Usa. Un siffatto innaturale impiego dei Peshmerga e della altre milizie kurde non tiene conto che il radicamento e la popolarità delle stesse derivano dal fatto che esse agiscono nel proprio territorio che conoscono come un palmo della loro mano. Fuori da quel contesto, in un territorio sunnita per esempio, rischierebbero comunque di essere percepite come truppe di occupazione.
Non di armi ma di diritti avrebbe bisogno il popolo curdo, visto che la sua soluzione, in uno stato laico e multietnico, dovrebbe per forza mettere mano ai confini post coloniali scritti con “il sigaro di Churchill sulla sabbia”.
Insieme alla soluzione della vicenda palestinese la soluzione politica della vicenda curda rappresenterebbe un passo fondamentale verso la pace e la stabilità del Medio Oriente.