Napolitano, testimone della trattativa Stato-Mafia

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La Corte d’assise di Palermo ha ribadito la necessità di sentire come testimone al processo sulla trattativa Stato – Mafia il capo dello Stato Giorgio Napolitano. In assenza di una norma specifica sulla deposizione del capo dello Stato, la Corte applicherà l’articolo 502 del Codice di Procedura penale che prevede l’esame a domicilio del teste che non può comparire in udienza.
Purtroppo, alla testimonianza, di cui ancora non e’ stata fissata la data, non parteciperanno nè il pubblico nè gli imputati (Riina, Provenzano, Bagarella) ma solo i legali e la procura. Ma come? Il Presidente non aveva già dichiarato con una lettera di non avere nulla da riferire sui temi del processo e sul contenuto della missiva ricevuta dal Loris D’Ambrosio, nella quale quest’ultimo menzionava di essere stato artefice di “indicibili accordi” con la Mafia?
Di avviso contrario è stata la Corte d’Assise, la cui decisione ha fatto emergere una prima grave contraddizione di Napolitano, nonchè fa presumere che il capo della Stato sappia molto di più di quanto dica di non sapere.
Dunque, il Presidente della Repubblica, che finalmente diviene cittadino come tutti gli altri di fronte alla Legge, è chiamato come testimone nella trattativa Stato – Mafia, nonostante avesse ritenuto lui stesso di non possedere elementi utili da fornire ad un processo che da decenni cerca di fare luce su una della pagine più buie del nostro Paese.
Dovrà attenersi rigorosamente a quei Giudici che Renzi (suo dichiarato pupillo) sbeffeggia quotidianamente. Incredibile, ma vero.
Chissà quante utili informazioni (ma non solo…) potrà fornire agli inquirenti e ai magistrati i quali, prima di procedere ad escuterlo, seppur a casa sua, sono chiamati ad ammonirlo circa i suoi precisi doveri e altrettanto obblighi secondo quanto previsto dall’art. 207 c.p. il quale recita che “se nel corso dell’esame un testimone rende dichiarazioni contraddittorie, incomplete o contrastanti con le prove già acquisite, il presidente o il giudice glielo fa rilevare rinnovandogli, se del caso, l’avvertimento previsto dall’articolo 497 comma 2”.
E se il Presidente afferma il falso o nega il vero, ovvero tace, in tutto o in parte ciò che sa intorno ai fatti sui quali è interrogato, verrà inevitabilmente punito con la reclusione da due a sei anni proprio come previsto dall’art. 497 comma 2 c.p.. Non potrà esprimere apprezzamenti personali (salvo che siano inscindibili dai fatti), non potrà rendere dichiarazioni contraddittorie, contrastanti o incomplete e dovrà attenersi solo ed esclusivamente ai fatti che costituiscono oggetto di prova.
Il tutto, sempre secondo verità.
E se la sua testimonianza non dovesse essere ritenuta attendibile, veritiera o essere contrastante con le prove acquisite dai Giudici? Essendo – l’eventuale reato per falsa testimonianza – riconducibile alla proprie funzioni ed alla propria carica istituzionale si dovrebbe attendere la fine del proprio mandato affinchè inizi il relativo processo, dissolvendo i progetti di Renzi e Berlusconi che lo vedono a casa prima della scadenza del settennato.
Diversamente, il Presidente dovrebbe dimettersi volontariamente o su iniziativa delle Camere per sottoporsi a processo penale, esattamente come avverrebbe nel caso di tutti gli altri cittadini.
In ogni caso Caro Presidente, il giorno prima di deporre come testimone, giuri pubblicamente davanti agli italiani di dire tutta la verità nient’altro che la verità!