3 ottobre. Lampedusa, laboratorio per l’esportazione della democrazia?
L’imbarcazione partita dalla Libia con a bordo oltre 500 migranti la notte del 3 ottobre era arrivata a mezzo miglio dalle coste di Lampedusa. Sembrava fatta, ma la tragedia si manifestò in pochi attimi. L’incendio a bordo, il panico, lo scafo che si capovolge e affonda. Il mare si portò via quasi 400 persone: cittadini eritrei, ghanesi, somali, etiopi e tunisini in fuga da guerre, soprusi e miseria. Volevano non più solo sopravvivere, ma trovare un luogo nel quale poter finalmente vivere.
A un anno di distanza, ricordiamo quella tragedia con un grido di dolore per tutto quello che l’Italia l’Europa avrebbero potuto fare, ma che non hanno mai fatto. Oggi politica e istituzioni sono tornati a spendere parole di cordoglio per quel 3 ottobre di un anno fa: rilasciano dichiarazioni, ostentano l’efficacia dell’operazione Mare Nostrum e plaudono al senso di solidarietà dei lampedusani.
Tacciono, però, di fronte al protocollo d’intesa sottoscritto ad agosto tra il comune di Lampedusa e Linosa e l’OSI (Fondazione Open Society), con il quale si intende realizzare un progetto di “Accoglienza e Cultura dell’immigrazione da e per Lampedusa”. Nella forma, l’accordo appare meritevole: un servizio esterno dovrà creare e realizzare progetti per migliorare la qualità della vita degli immigrati e dei lampedusani.
Guardando più in profondità, però, si scopre che il fondatore dell’OSI è il magnate statunitense George Soros. Si tratta di un ente che ha forti legami con la politica economica e militare degli Stati Uniti e sono in molti (politici, Ong, cooperative) ad averci guadagnato dal rapporto con l’Osi. Così come altre organizzazioni, l’Open Society si vanta di voler esportare la democrazia nel mondo.
Ma dietro la maschera si nasconde una violenta politica espansionistica: si hanno informazioni del suo zampino nella caduta di Milosevic in Serbia, ad esempio, nella Rivoluzione delle Rose in Georgia e recentemente ha offerto il suo “contributo” anche in Ucraina.
La domanda è: chi ci stiamo mettendo in casa? E il nostro Governo dov’è? Resta in silenzio perché l’operazione risponde anche a suoi interessi?
Se a ciò si aggiunge che il protocollo firmato sembra indicare che la permanenza degli immigrati sull’isola non sia più solo temporanea, ma che possa prolungarsi nel tempo, allora vogliamo sapere se Lampedusa si sta trasformando in un laboratorio, in una testa di ponte per interessi altrui in Africa, che ha secondi fini rispetto a quelli umanitari.