La bomba ad orologeria delle sofferenze bancarie

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L’Associazione Bancaria Italiana (Abi) ha pubblicato gli ultimi dati sulle sofferenze bancarie e i crediti incagliati, fotografando una situazione insostenibile non solo per le banche, ma anche e soprattutto per i debitori di piccole dimensioni e per le prospettive del credito, tuttora tragiche.
Se si guarda alle sole sofferenze, ovvero ai crediti ormai inesigibili a seguito del fallimento del creditore, il totale ammonta a 177 miliardi di euro, in ascesa rispetto al settembre del 2013 del 22,4% e corrispondente al 40% del capitale e delle riserve bancarie e a circa 1,2 milioni di soggetti insolventi. L’83% di questi debitori strozzati dalla crisi riguarda crediti sotto i 125 mila euro. Si tratta quindi di famiglie e piccole imprese, il cuore del tessuto produttivo del Paese e della domanda interna.
I dati però sono ancora più preoccupanti di quel che sembra. Estendendo la visuale ai crediti incagliati, cioè quelli non ancora dati per persi ma in forte dubbio, le difficoltà bancarie ammontano a 333 miliardi di euro, circa l’80% del capitale e delle riserve bancarie: una bomba ad orologeria sotto le menzognere promesse di “ripresa col botto” di Renzi. Se botto ci sarà, riguarderà il settore bancario e quello privato, vicini al punto di rottura. È chiaro che banche, famiglie ed imprese sono legate a doppio filo. È forse meno chiaro, e va dichiarato una volta per tutte, che il circolo vizioso di sofferenze e restrizione del credito parte dalla crisi di famiglie e imprese e queste, non il settore bancario, vanno sostenute con decisione. A beneficiarne sarebbe l’intero sistema economico italiano e, in seconda battuta, gli stessi bilanci bancari.
È inutile inondare di liquidità a basso costo le banche quando i depositi continuano a diminuire per l’impoverimento dei cittadini e i prestiti non vengono restituiti. Il credito, così, non ripartirà. Per rilanciare i redditi dei lavoratori, gli utili di impresa e il credito, però, condizione necessaria è diminuire drasticamente le tasse e predisporre un piano organico di investimenti pubblici produttivi nei settori strategici (rinnovabili e manutenzione del territorio su tutti).
Posto che l’euro e la Ue non cambieranno a tal punto da consentire questi provvedimenti vitali, bisogna preparare l’uscita, informare i cittadini a riguardo e riprendersi la sovranità economica, da cui discende anche quella democratica e parlamentare.