Def 2015: l’austerità nel futuro dell’Italia

renzi_padoan1
Il Def (Documento di Economia e Finanza) è il principale strumento di programmazione economica del governo, perché indica dei parametri di finanza pubblica vincolanti per la manovra finanziaria dell’ottobre successivo (Legge di Stabilità). Da quando l’Italia fa parte dell’Unione Europea, il Def è controllato rigorosamente dalla Commissione Europea, e informalmente anche dalle due istituzioni che insieme alla Commissione compongono l’ormai celebre Troika: Fondo Monetario Internazionale e Banca centrale europea. Vale a dire che la politica economica italiana non si fa più a Roma, e i risultati, purtroppo, si vedono. Dal Governo Monti in avanti il Def si è trasformato in una macelleria sociale, ma quantomeno il rettore della Bocconi non si inventava “tesoretti” elettorali e bonus fallimentari per indorare l’amara pillola dell’austerità.
In questo Def è stimato per il 2015 un Pil in crescita del +0,7% e su questo numero il Governo costruisce il suo programma economico per gli anni successivi. Negli ultimi anni i governi di ogni colore hanno sistematicamente sbagliato le previsioni sul Pil, insieme alle più prestigiose istituzioni internazionali. Nel 2014 questo esecutivo garantiva una crescita del +0,8%, mentre a fine anno i dati ufficiali segnavano un nuovo calo (-0,4%). Un errore dell’1,2% del Pil è gravissimo e la sensazione è che a fine 2015 anche le stime di oggi si riveleranno ridicole. Se il Pil crescerà come al solito meno del previsto, o addirittura continuerà a calare, non solo il “tesoretto” scomparirà come di incanto, ma il Governo si troverà costretto a coprire le minori entrate reali con nuovi tagli e maggiori tasse. Nel Def si scrive nero su bianco che nel futuro dell’Italia ci sarà sempre e solo austerità, dato che viene programmato il pareggio di bilancio nel 2018 e addirittura l’avanzo di bilancio nel 2019. Non sarà la crescita a garantirci la parità fra entrate e spese pubbliche, ma altre tasse e nuovi tagli. Vediamolo nel dettaglio.
Per gli anni 2015, 2016 e 2017 la pressione fiscale crescerà, alla faccia di tutte le promesse: si confermerà al 43,5% del Pil quest’anno per sfondare il muro del 44% nei due anni seguenti (44,1%). A far aumentare ancora le tasse saranno le clausole di salvaguardia, pronte a scattare il 1 gennaio 2016: +12,8 miliardi nel 2016, +19,2 miliardi nel 2017 e +22 miliardi nel 2018 tra Iva e accise sul carburante. L’Iva, già oggi altissima al 22%, salirà gradualmente fino al 25,5% nel 2018. Il prestigiatore di Firenze promette che le clausole saranno evitate grazie ai tagli di spesa, ma non dice quali. Nel Def però c’è tutto scritto: si tratta dei soliti tagli alle pensioni, alla spesa sociale, e agli investimenti. La spending review del Governo non mira a rendere la spesa pubblica più efficiente, ma a dimagrire i servizi fondamentali per gettarli nelle fauci del settore privato, ancor meglio se estero. Stiamo parlando di Welfare, Sanità, Istruzione, Trasporto Pubblico: i pilastri di ogni società civile.
Ultimo capitolo, non meno doloroso, riguarda le mitologiche privatizzazioni, celebrate a destra e a sinistra negli ultimi 20 anni, ma disastrose per le tasche dei cittadini e la qualità della vita. Le tariffe sull’acqua si sono moltiplicate negli anni, i pedaggi autostradali continuano a crescere e i servizi primari, asserviti alla logica del profitto privato, trascurano ormai la qualità. Di qui al 2019, però, è prevista la svendita di altre partecipazioni pubbliche di importanza strategica, per quasi 2 punti di Pil. Svendere ai privati, spesso stranieri, i nostri gioielli residui significa rinunciare per sempre a investimenti assicurati, posti di lavoro, diritti (vedi Whirpool) e non ultimi ingenti profitti, trasferiti in gran parte fuori dai nostri confini.
Inutile dire che il M5S scriverebbe un Def del tutto diverso, per la semplice ragione che non è sensibile agli interessi della finanza internazionale e delle multinazionali nascoste dietro alla Troika. Un Def a 5 stelle riporterebbe al centro, finalmente, l’economia reale. È urgente infatti ripudiare i vincoli europei, uscire dall’euro, promuovere investimenti nei settori innovativi e ad alta occupazione. Tutto questo garantirebbe di abbassare davvero la pressione fiscale e il debito pubblico, senza i tagli controproducenti allo Stato sociale e ai servizi fondamentali.