Caporalato, flop della rete del lavoro agricolo di qual

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Era il 31 agosto quando il ministro delle Politiche Agricole, Martina, in una delle sue passerelle nella vuota vetrina di Expo dichiarava guerra al caporalato annunciando la “Rete del lavoro agricolo di qualità”, prevista nel provvedimento denominato “Campolibero”. Sarebbe dovuta partire il primo settembre ma ad oggi ancora nessuna traccia. Anzi, a decretarne il fallimento non sono solo il fatti né tanto meno il M5S. Ma voci autorevoli del mondo del lavoro, come il presidente dell’Inps, Tito Boeri, che lo scorso 28 ottobre, in audizione presso le commissioni riunite Agricoltura e Lavoro della Camera per discutere le risoluzioni sul caporalato, ha dichiarato che la cosiddetta ‘cabina di regia’ su circa 180mila imprese ha ricevuto solo 446 richieste, di cui 53 imprese ammesse e 179 ammesse con riserva. Sarà forse perché l’iscrizione è su base volontaria?
Sempre a settembre anche il ministro del Lavoro, Poletti, parlava di passi concreti per il contrasto del lavoro nero, annunciando addirittura un imminente azione del Ministro della Giustizia, Orlando, che nelle ore successive avrebbe dovuto emanare una serie di misure per la confisca dei beni di chi usa i caporali, come nel contrasto alla mafia.
Per il M5S per arrestare questa piaga è necessario agire su più fronti. In primis, su quello culturale, attraverso azioni come una campagna di sensibilizzazione nazionale e servizi informativi per i cittadini stranieri sui loro diritti al momento del loro ingresso in Italia. E ancora: l’attivazione di un “numero rosso” presso il quale tutti i lavoratori, italiani e stranieri, possano denunciare i casi di sfruttamento, senza subire ritorsioni di alcun genere. Ma soprattutto non aspettare una fantomatica cabina di regia, o chissà quale ‘deus ex machina’, per potenziare la ‘macchina dei controlli’ già esistente, dalle Asl agli Ispettorati del Lavoro.
A tale proposito per il M5S è strategico investire su una task force di informatici ed agronomi per far dialogare le varie banche dati nazionali (Agea, Inps, Inail, Ministero del Lavoro, Uma e Agenzia delle Entrate) e produrre un ‘algortimo anti caporalato’ che faccia scattare l’alert ogni volta che viene rilevata una sproporzione tra l’estensione del terreno coltivato e il numero di ‘lavoratori dichiarati’ facendo così arrivare in campo i controlli delle Autorità competenti. Il caporalato è infatti un fenomeno ‘misurabile’. Esistono in letteratura dei parametri, come la ‘quantità del lavoro umano’, in grado di calcolare per una certa superficie di ettari coltivati quante ore di lavoro, e quindi quanti operai, sono necessarie. C’è un numero di operai al di sotto del quale non si può scendere; qualora lo si facesse, molto probabilmente vorrebbe dire che quell’impresa sta utilizzando ‘lavoratori in nero’, anche attraverso l’intermediazione illecita o caporalato. Un sistema complesso che potrebbe essere attivato grazie a un semplice click.