Al Senato la maggioranza baratta le riforme costituzionali con le poltrone

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Apparentemente è solo l’ennesimo slittamento di calendario, nella realtà è un modo per tenere in scacco il Senato, dove i numeri sono ballerini, e assicurarsi il voto favorevole sulle riforme costituzionali. E’ questo il vergognoso baratto messo in piedi dalla maggioranza, che trasforma Palazzo Madama in un indecente ‘mercato delle vacche’.
Al centro di tutto c’è il rinnovo dei vertici delle commissioni parlamentari, previsto a metà legislatura: le nuove nomine dovevano avvenire già a giugno scorso, poi si decise di rinviarle al termine del voto sulla legge di Stabilità e quindi alla ripresa dei lavori a gennaio.
Oggi, però, la conferenza dei capigruppo decide a maggioranza per un ulteriore rinvio, fissando la data al 21 gennaio. Ma c’è un dettaglio che fa la sostanza: il rinnovo avverrà dopo il voto finale dell’Aula sul Ddl Boschi, in programma esattamente il giorno prima, il 20 gennaio.
E qui c’è il ricatto, nemmeno troppo velato, della maggioranza: una poltrona da presidente o vice presidente e qualche migliaia di euro di indennità in più in cambio di un voto a favore alle riforme costituzionali del duo Renzi/Boschi.
E’ il sistema del ‘bastone e della carota’ che svilisce definitivamente queste istituzioni e il Parlamento, che trasforma la democrazia in ‘cleptocrazia’, che trasforma ruoli istituzionali in merce di scambio per convincere i riottosi che non vogliono ingoiare le riforme del governo, per premiare fedelissimi che hanno detto sì senza fiatare e mandare messaggi chiari ai contestatori.
Sarebbe bastato un minimo di decenza per fugare quest’ombra: bastava fissare il rinnovo delle Commissioni prima del voto sulle riforme costituzionali. Bastava rispettare il Regolamento del Senato, che impone che ogni due mesi almeno 4 sedute dell’Aula siano destinate all’esame di una proposta di legge presentata da gruppi parlamentari delle opposizioni e calendarizzare la proposta del Movimento 5 Stelle sul reddito di cittadinanza, ad esempio, o la nostra mozione di sfiducia al ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina sul caso Xilella.
Così non è stato e la democrazia e il Parlamento ne escono, ancora una volta, miseramente umiliati e sconfitti.