Università e campagna referendaria: censura agli incontri per il NO

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“Cosa hanno da dire il presidente del Consiglio Renzi e il ministro Boschi sui casi denunciati dagli studenti delle università italiane a proposito dei dibattiti per il No vietati nelle sedi? Abbiamo assistito in questa campagna referendaria ad una palese strumentalizzazione della formazione e dell’istruzione per meri scopi politici. Il “no” al referendum è stato censurato dalle università italiane, molte delle quali avrebbero vietato l’utilizzo degli spazi universitari per le manifestazioni a favore del no” Lo afferma la senatrice del M5s Michela Montevecchi della commissione Cultura.
La privazione degli spazi per gli studenti nelle Università – prosegue – e le iniziative unilaterali rivolte agli studenti delle scuole ci appaiono costrittive e limitative della formazione degli studenti che avrebbero quanto meno diritto ad ascoltare una varietà di posizioni e a discutere pubblicamente del loro pensiero.
Presenterò una interrogazione ai ministri citati per chiedere conto di questa scandalosa prassi che ha preso piede in questa campagna referendaria – afferma la Montevecchi -. L’esempio più eclatante sarebbe avvenuto all’Università La sapienza di Roma, nella facoltà di giurisprudenza, dove il Preside della facoltà, uno dei firmatari del manifesto “Basta un sì”, avrebbe negato agli studenti la possibilità di organizzare più incontri a sostegno del no”
Situazione simile si è verificata anche all’università di Roma Tre, dove l’iniziativa arriverebbe dal rettore, anche lui favorevole al “sì”. Invece presso l’ateneo di Bologna, gli studenti che si sono mobilitati per il No contestano l’organizzazione di un ciclo di seminari per “capire la riforma costituzionale”, che oltretutto garantirebbe ai partecipanti il conseguimento dei crediti formativi, al quale avrebbero partecipato sei relatori su otto favorevoli al disegno del governo. Anche all’ateneo di Milano Bicocca, infine, non sono mancate le proteste per un incontro sul referendum che avrebbe ospitato quattro docenti su sei in favore del “sì”. Tutto questo è scandaloso.