Banca del Mezzogiorno venduta e maltrattata sull’altare del libero mercato?

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Banca del Mezzogiorno-Mediocredito centrale è nata per uno scopo nobilissimo: risollevare l’economia del Sud Italia finanziando famiglie e piccole-medie imprese, soprattutto se gestite da giovani e donne. È stata costruita sulle fondamenta di quel Mediocredito centrale che Poste Italiane, allora interamente pubblica, acquistò nel 2010 da Unicredit al prezzo di 136 milioni di euro. Doveva essere uno strumento virtuoso di politica economica e lo è stato effettivamente per qualche anno, dal 2012 al 2014: utile netto in costante crescita, così come lo stock di crediti erogati (dai 179 milioni di euro del primo esercizio al miliardo e 345 milioni di euro del 2014).
Poi nel 2015 qualcosa si è inceppato; come si può leggere nell’interrogazione a prima firma di Nicola Morra che il M5S ha presentato nel luglio di quell’anno, si è insediato un nuovo consiglio di amministrazione presieduto da Luigi Ferraris e con Luigi Calabria amministratore delegato. La nuova amministrazione, stando ad alcune fonti interne e giornalistiche, avrebbe ostacolato l’attività creditizia ridimensionando il piano industriale di espansione del credito dal miliardo previsto precedentemente a soli 300 milioni di euro nel 2015. Nei primi 6 mesi dell’anno lo stock dei nuovi crediti ai privati si fermava addirittura a 82 milioni di euro. La banca era sostanzialmente ferma, nonostante nei suoi primi tre esercizi sotto la presidenza di Massimo Sarmi avesse dimostrato vitalità e redditività. Nello stesso periodo si facevano insistenti le voci di una cessione di Banca del Mezzogiorno all’agenzia pubblica per l’attrazione degli investimenti, Invitalia. Tuttavia le operazioni si arenarono perché Poste Italiane, nel frattempo, stava per completare la prima parte della sua privatizzazione con la cessione sul mercato del 30% delle quote del Tesoro e l’amministratore delegato Francesco Caio quotava la società in borsa per la prima volta.
Banca del Mezzogiorno rimaneva in un limbo che la rendeva di fatto non competitiva sul mercato e interrompeva un rapporto fruttuoso con il territorio meridionale, assai bisognoso di credito, di attività produttive e di occupazione.
Questi i fatti del recente passato.
Oggi, a distanza di un anno e mezzo dalla nostra interrogazione, arriva la notizia fresca della prossima cessione di Banca del Mezzogiorno a Invitalia. Stando ai giornali, l’argomento verrà affrontato da Poste Italiane nel consiglio di amministrazione del 31 gennaio. Sembra una formalità.
Ciò che è vergognoso, in tutto ciò, è che il passato Governo Renzi e l’attuale Governo Gentiloni, ancora detentori della quota di maggioranza di Poste Italiane (64%), hanno permesso a quest’ultima di agire senza alcuna trasparenza, azzoppando per oltre un anno l’ultima banca pubblica attiva sul territorio italiano. Se queste sono le premesse viene da pensare che la cessione di Banca del Mezzogiorno ad Invitalia altro non sia che un modo per alleggerire Poste Italiane di un fardello considerato inutile, prima che anche la seconda parte della privatizzazione vada in porto.
L’interrogazione del M5S è rimasta senza risposta per lunghissimo tempo e di questo il principale responsabile non può che essere il Ministro dell’Economia di allora e di oggi, Pier Carlo Padoan.
L’intera vicenda è un’ulteriore conferma che Renzi e Gentiloni governano in totale continuità con le logiche neoliberiste di Monti e Letta: austerità, privatizzazioni e incuria verso l’ultimo e virtuoso istituto di credito pubblico rimasto.