Ilva, dieci decreti e nessuna tutela per i cittadini. Lo dice anche la Corte europea

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Il procedimento aperto oggi dalla Corte europea di Strasburgo contro lo Stato italiano, per non aver protetto la vita e la salute dei cittadini di Taranto dagli effetti negativi delle emissioni dell’Ilva, conferma che quanto fatto sinora dal governo, con 10 decreti, non è servito a nulla. O meglio, non è servito a preservare i tarantini dall’inquinamento emesso, oltre ogni soglia sostenibile, dallo stabilimento siderurgico che da più di cinquant’anni avvelena la città, causando un numero crescente di morti e malattie tumorali di ogni tipo e violando il loro diritto alla vita.
Il Tribunale per i diritti umani ha accolto il ricorso di 182 cittadini di Taranto e provincia che si sono rivolti a Strasburgo nel 2013 e nel 2015, perché malati o familiari delle vittime morte a causa delle emissioni inquinanti dell’Ilva. In questo modo, ha considerato valide le argomentazioni a sostegno della loro richiesta: lo Stato non ha adottato tutte le misure necessarie a proteggere l’ambiente e la loro salute, ma ha autorizzato il proseguimento delle attività del polo siderurgico attraverso i cosiddetti decreti ‘salva Ilva’ licenziati dal governo a ritmo forsennato.
Dieci decreti in pochi anni. Per ognuno, lo stesso, identico, obiettivo: salvare l’azienda. Metterla al riparo dalla crisi. Mai, nemmeno un articolo, un decreto, un provvedimento, per salvare la vita dei cittadini di Taranto. Ne risponderanno alla Corte europea e ne risponderanno in sede giudiziaria: proprio oggi è ripreso nel capoluogo Jonico il processo in Corte d’Assise per il disastro ambientale causato dall’Ilva che si apre con 47 imputati, di cui 44 persone fisiche e 3 società, Ilva, Riva Fire e Riva Forni Elettrici.