Legge di #Stabilita2016: tagli, marchette e illusioni. Ecco cosa ci aspetta
La legge di Stabilità, approvata in via definitiva al Senato, apre le porte ad un 2016 di lacrime e sangue. Saremo costretti a vivere l’ennesima riedizione dell’austerità che ha trascinato nel baratro l’Europa intera.
I numeri possono ingannare. Il Governo ha portato infatti il deficit pubblico al 2,4% del Pil, rispetto all’1,8% concordato in precedenza con la Commissione Europea. Gran parte del maggior deficit, tuttavia, serve solo a rinviare al 2017 circa 14 miliardi di tasse che ancora dovevano entrare in vigore, le cosiddette clausole di salvaguardia, ovvero aumenti di Iva e accise sui carburanti che questo stesso Governo aveva programmato nella scorsa Stabilità. Le politiche di austerità sono state dunque redistribuite nel tempo, spostando parte dei tagli e delle tasse previsti per il 2016 all’anno successivo. Non viene messo invece in discussione il Fiscal Compact, e con esso il folle principio del pareggio di bilancio che impone rigore proprio quando servirebbero investimenti pubblici e alleggerimenti fiscali per le classi sociali più deboli. L’economia italiana rimane così strozzata dai vincoli europei.
Il risultato è che a parte la manovra spot sulla Tasi, piovono tagli e nuove tasse, scaricate vigliaccamente sugli amministratori locali.
Vediamo in breve cosa ci aspetta:
– 19 miliardi di ulteriori tagli alle Regioni fra il 2016 e il 2019. Non si tratta certo di lotta agli sprechi, ma di tagli lineari in perfetto stile montiano. Inutile dire che gran parte di queste minori risorse andranno a dimagrire ancora la Sanità pubblica, dato che circa l’80% dei bilanci regionali serve a garantire le cure ai cittadini.
– Ma per essere sicuro di centrare il bersaglio, il Governo è intervenuto direttamente sul Fondo Sanitario Nazionale, tagliandovi altri 2 miliardi, dopo i 2,3 del luglio scorso (Dl Enti locali). In tutto fanno 4,3 miliardi di minori risorse in pochi mesi. Nemmeno Monti, espressione diretta della Troika europea, aveva osato tanto. La ciliegina sulla torta è la sforbiciata alla lista delle prestazioni garantite dal pubblico, con 180 di esse che saranno d’ora in poi a carico del malato. La sanità americana è dietro l’angolo. Chi più ha, potrà trasferirsi alla sanità privata, se già non lo ha fatto, mentre chi è stato più colpito dalla lunga crisi economica dovrà decidere di volta in volta se curarsi, intaccando i propri magri risparmi, o rinunciare alle cure. In questo modo insieme alla sanità privata prospereranno le assicurazioni sanitarie, con le quali il cittadino medio proverà a garantirsi a prezzi salatissimi almeno un pacchetto essenziale di cure mediche.
Gli investimenti pubblici sono in caduta libera, e con essi ogni speranza di risollevare un settore industriale morente. Al -3% del prossimo anno, seguirà il -7% del 2017. Senza investimenti pubblici l’Italia si trasformerà in un bacino di manodopera a basso costo a disposizione delle filiere produttive estere, e in particolare tedesche. Altro che produttività e innovazione.
La scure sugli investimenti pubblici colpisce naturalmente anche il Sud Italia, per il quale il premier aveva promesso un “Masterplan” in grado di rilanciarlo. La montagna partorisce un topolino, ovvero un credito di imposta per le imprese del Mezzogiorno che investono in beni strumentali. Come dare un’aspirina ad un malato di cancro.
Il Sud, tra l’altro, è colpito più di tutti dalla vergognosa marcia indietro del Governo sulla decontribuzione per le imprese che assumono nuovi lavoratori a tempo indeterminato. Questa corposa agevolazione era prevista sin dalla legge 407 del 1990. Il Governo l’aveva confermata nella sostanza il dicembre scorso, mentre per il 2016 la riduce dal 100% al 40% e da 3 anni a 2 anni per ogni nuovo assunto. Il colpo di grazia ad un mercato del lavoro agonizzante.
Si potrebbe continuare a lungo, ricordando l’ambiguo pagamento in bolletta del canone Rai, il disinteresse per 23 mila esodati ancora senza tutela, le maggiori tasse mascherate per i piccoli agricoltori e l’elemosina agli obbligazionisti truffati dal decreto Salva-banche, ma non ne vale la pena.
La musica dell’austerità non cambierà fino a quando ad una politica serva dell’economia globale non subentrerà una politica che amministra e regola l’economia, indirizzandola a fini sociali, come prevede la nostra Costituzione.
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