Trasporto pubblico: a De Luca 600 milioni, agli altri il pugno di ferro
Mentre in TV il premier si affanna a convincerci che la riforma costituzionale è cosa buona e giusta perché si risparmiano 57 milioni con l’abolizione del Senato elettivo, il governo si appresta ad elargirne ben 600, di milioni, alla Campania del suo De Luca.
E’ tutto scritto nero su bianco nel decreto fiscale, e probabilmente finirà nella legge di stabilità: l’azienda dei trasporti campani versa in condizioni debitorie disperate, e quindi è necessario un intervento di 600 milioni per ripianare i conti e rabbonire i creditori furibondi.
Sia chiaro: non siamo certo contrari all’idea che lo Stato intervenga nel settore pubblico quando c’è bisogno, anche se avremmo auspicato una gestione un po’ meno allegra delle aziende dei trasporti locali. Ma l’intervento dello Stato dovrebbe essere equanime per tutte le Regioni e i Comuni, e soprattutto indipendente da considerazioni di convenienza politica.
Però così non è. Ad esempio il Senato ha recentemente approvato un Ordine del Giorno, promosso dal PD, in cui si promuove il commissariamento dell’Atac, l’azienda dei trasporti pubblici di Roma (giunta M5S) che ha un debito analogo a quello della EAV campana. Come mai per l’Atac si adottano stringenti presupposti liberisti, ovvero commissariamento e possibile privatizzazione, mentre quando si tratta dell’amico De Luca il governo diventa magicamente statalista senza se e senza ma ed elargisce quattrini a pioggia?
Le teorie economiche hanno poco posto in tutte queste operazioni. Si tratta meramente di distribuzione di soldi in base all’appartenenza politica e ai bacini elettorali, secondo calcoletti a tavolino che nulla hanno a che vedere con le necessità del Paese. Eppure gli strumenti ci sarebbero: esiste un Fondo Nazionale dei Trasporti Pubblici di ben 5 miliardi, che versa però ormai da anni in carenza cronica di un miliardo e mezzo. Come ha chiesto il M5S con un emendamento a firma Dell’Orco e De Lorenzis: perché non versare i 600 milioni in quel fondo, e poi contribuire a ripianare le varie aziende dei trasporti con un criterio di equità per tutte le amministrazioni locali italiane?
Forse sarebbe troppo sensato: si sa, “i soldi sono pochi”, e quei pochi devono essere usati bene. Che, nel linguaggio dei partiti, non significa altro che elargire in modo mirato per mantenere al sicuro clientele e voti. Tutto il resto del Paese può anche andarsene in malora.