#Fuoridalleuro con il popolo greco, bye bye frau Merkel!

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La democrazia è sovversiva. Il pensiero critico è destabilizzante. La partecipazione popolare irrompe e manda nel panico i grandi potentati tecnocratici e finanziari.
Ecco perché agli euro-burocrati non piace il referendum greco sulla trattativa con la Troika. “Non vi può essere emancipazione umana che non passi attraverso l’emancipazione politica, la quale richiede lo sviluppo, l’estensione, il rafforzamento di tutte le istituzioni da cui è nata la democrazia moderna”, diceva Norberto Bobbio.
Lo stesso filosofo torinese osservava come tecnocrazia e democrazia fossero incompatibili. Se avesse visto la Ue di oggi, avrebbe tratto ulteriore conforto per le proprie tesi.
Il Fondo monetario sappiamo come la pensa, la Bce è solo una banca centrale. Ma l’Ue, ci chiediamo, predilige ancora la democrazia come il migliore dei sistemi imperfetti?
Il referendum è una scelta di metodo, prima che di merito.
La Grecia ha vissuto al di sopra delle proprie possibilità nell’ultimo ventennio prima della crisi? La Grecia ha truccato i conti per entrare nell’euro? Forse, ma in queste vicende hanno pesato lo zampino della grande finanza (vedi Goldman Sachs per l’ingresso di Atene nell’euro) e la complicità silente delle istituzioni europee.
L’Europa del ’53, Grecia compresa, concesse alla Germania di dimezzare il debito e di dilazionarlo in 30 anni. Fu così che il Paese riuscì a evitare il default e a rialzarsi. Il resto dell’esposizione tedesca sarebbe dovuta essere sborsata dopo l’eventuale riunificazione delle due Germanie. Eppure, anche nel 1990, il pagamento passò in cavalleria.
Come mai, adesso, il Continente ha smarrito persino quel senso minimo di un destino comune che le consenta di manifestare solidarietà al popolo greco? Il popolo che ha regalato all’Europa gran parte la sua stessa identità e fisionomia culturale?
Negli alti uffici si pensa che l’Ue sia moneta e finanza, non capendo che dovrebbe essere altro.
Siamo costretti a riforme che ingrassano il sistema bancario, utilizziamo i nostri risparmi per pagare le sofferenze e i debiti degli istituti finanziari (vedi il bail-in, il nuovo meccanismo di salvataggio delle banche).
Cediamo sovranità nazionale, ma in cambio di cosa? Non una politica estera efficace, non un coordinamento dell’azione di risposta ai fenomeni migratori, non un barlume di condivisione del debito.
Esiste euro senza austerity? Probabilmente no, vista la miopia di queste classi dirigenti. Ed è per questo che i greci non decideranno sul piano della Troika, ma, in definitiva, sulla permanenza o meno nella moneta unica.
L’Italia, nel frattempo, non tocca palla nei negoziati. Rimane timida persino nei commenti del suo premier, usualmente gradasso su molti altri fronti. E soprattutto ammette di essersi inginocchiata ai diktat della grande finanza già molto tempo fa.
Le parole di Padoan, oggi, sono paradigmatiche in tal senso. Sui giornali il ministro dell’Economia ammette candidamente (e involontariamente) come l’Italia abbia già ottemperato, senza bisogno di firmarle, alle condizioni umilianti di un eventuale Memorandum of understanding che sarebbe richiesto per un eventuale entrata in azione delle Omt (Outright monetary transactions), ossia uno degli scudi anti-speculazione della Bce.
La nostra sovranità ormai è andata. A noi italiani non è mai stato chiesto di adottare l’euro e nemmeno che Europa avremmo voluto. Stiamo subendo tagli draconiani del welfare e degli investimenti produttivi. Si comprime il costo del lavoro perché non si può svalutare la moneta. E questa situazione la pagano soprattutto le giovani generazioni.
Mentre il popolo greco viene sacrificato sull’altare della finanza, noi siamo i prossimi della lista. Non c’è mai fine all’ingordigia della politica nazionale ed europea.
“Il popolo greco ha deciso con le elezioni che non vuole prestiti, non vuole questo percorso, vuole costruire il proprio futuro. Lo rispetteremo, sì o no? Non è una questione del popolo greco, è una questione di democrazia”, ha detto pochi giorni fa Manolis Glezos, il 93enne partigiano e scrittore greco.
Ma il tema ancora più importante è cosa succederà un anno o due dopo che la Grecia sarà uscita dall’euro, riflette il premio nobel Paul Krugman, nel momento in cui il vero rischio per l’euro non sarà che Atene fallisca, ma che possa avere successo. “Immaginate che una nuova dracma fortemente svalutata porti frotte di turisti britannici, gran bevitori di birra, sulle coste dello Ionio, e che la Grecia cominci a riprendersi. Questo darebbe grande incoraggiamento a tutti quelli che, in ogni Paese, si oppongono all’austerità e alla svalutazione interna”, prevede l’economista americano.
L’uscita della Grecia dall’euro permetterebbe allo Stato ellenico di respirare, di manovrare sulla moneta, di attirare investimenti e di rilanciare l’economia.
Con il referendum voluto dal M5S per l’uscita dalla moneta unica, anche in Italia daremo il primo pugno nello stomaco a questi tecnocrati diversamente democratici, faremo capire loro la differenza tra una Unione di banche e una Comunità di cittadini.
Di questo passo, invece, oggi tocca alla Grecia. Domani toccherà a noi.
Basta terrorismo mediatico, basta minacce. L’unica soluzione è il ‪Grexit. Bye bye frau Merkel.
‪#‎FuoridallEuro!