Dilagano i voucher, la nuova frontiera del precariato

voucher-lavoro.jpg
Ha tante facce l’attacco ai diritti dei lavoratori portato dal governo con il Jobs act. Una delle più subdole è quella che riguarda i voucher e l’aumento del tetto massimo dei compensi che possono essere pagati con questo strumento: da 5mila a 7mila euro.
Prima siamo passati dai contratti stabili a quelli precari. Ora siamo arrivati ai surrogati dei contratti. Questi ultimi spariscono, si volatilizzano e sfumano in un frusciare di “buoni”, i voucher appunto, che incarnano l’addio a qualunque forma di tutela. In pratica, l’evoluzione della specie del vecchio cottimo.
I voucher erano nati per combattere il dilagare del lavoro nero e sono diventati, dunque, la nuova frontiera della spoliazione dei diritti, come ammesso dallo stesso presidente Inps Boeri.
Nei primi otto mesi del 2015 sono stati venduti più di 71 milioni di buoni lavoro, con un aumento del 73% rispetto allo stesso periodo del 2014. Ormai abbiamo sfondato la soglia dei 200 milioni di unità per un controvalore di 2 miliardi.
Rappresentano la forma più “spinta” di precariato anche perché i vincoli sul loro uso sono minimi e facilmente aggirabili e (alcuni) committenti ne fanno un uso distorto o improprio, sostituendoli agli ordinari contratti di lavoro. All’inizio i destinatari erano soprattutto uomini e pensionati. Ora l’età media si è abbassata e sono aumentate a dismisura le donne.
Il M5S non ci sta e con Tiziana Ciprini, portavoce alla Camera, ha presentato un’interrogazione in cui chiede al governo “l’adozione di misure correttive anche di tipo normativo per reprimere l’uso distorto del voucher e assicurare ai lavoratori impiegati con voucher tutele e garanzie analoghe a quelle dei lavoratori con contratto di lavoro ordinario nonché una indagine sulla correttezza dell’utilizzo di tali voucher e dati sui destinatari dei voucher”.
Non esiste maggiore produttività o competitività con meno diritti. Ma la svolta arriverà soltanto con un governo a Cinquestelle.