Riprendiamoci Cassa Depositi e Prestiti #GìùLeManiDaCdp

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La follia delle privatizzazioni sta arrivando fino a Cassa e Depositi e Prestiti, l’ultimo strumento di sovranità industriale che ci è rimasto. Dal Governo si giustificano con la necessità di proseguire sulla via delle privatizzazioni dopo che le ipotesi di vendere un altro 30% di Poste Italiane e di collocare in borsa Frecce, controllata del Gruppo Ferrovie dello Stato, si sono arenate sui bassi prezzi di mercato.
Ma chi ha detto che l’Italia debba continuare sul sentiero delle privatizzazioni? Naturalmente l’Unione Europea, che ha però dimostrato negli anni di curare ben altri interessi rispetto a quelli nazionali. In particolare, è l’agenzia di statistica europea (Eurostat) che ci “suggerisce” di cedere un altro 15% di Cdp ai privati per dimostrare che la Cassa non è uno strumento del Governo italiano ma un vero e proprio attore di mercato. Se il Governo non obbedisse, Eurostat potrebbe iniziare a conteggiare nel debito pubblico nazionale anche i 250 miliardi di euro di risparmio postale che Cdp detiene come passivo. Un ricatto in piena regola.
Prima della Ue, in ogni caso, c’era Maastricht. È da 25 anni che la politica italiana si è vincolata a parametri di finanza pubblica anti-democratici e anti-scientifici, in forza dei quali dobbiamo sacrificare grandi aziende di pubblica utilità. Se almeno il debito scendesse, i privatizzatori avrebbero qualche argomento da spendere, invece in questi tre decenni il peso del nostro debito ha continuato a crescere. Dal 1994 lo Stato italiano ha incassato 95 miliardi di euro cedendo quote anche di maggioranza di aziende pubbliche, eppure il rapporto debito/Pil, che era al 121,8% quell’anno, si attesta a fine 2016 al 132,8%. La ragione è molto semplice: il rapporto debito/Pil non si abbatte svendendo aziende strategiche ma tornando a investire nell’economia reale, producendo occupazione stabile e stimolando anche gli investimenti privati. Per riattivare il circuito virtuoso, però, servono come l’ossigeno gli investimenti pubblici, e chi li fa se non le aziende partecipate e controllate dallo Stato?
Seguendo l’ideologia delle privatizzazioni abbiamo perso negli anni realtà storiche e ricche di competenze interne come Iri, Imi, Ina, Seat, Banca nazionale del lavoro, Telecom, Eni, Enel e Mediocredito centrale; aziende che curavano settori di pubblica utilità quali il credito, le assicurazioni, le telecomunicazioni e l’energia elettrica.
Negli ultimi tempi abbiamo venduto il 35% di Poste Italiane e anche il 35% di Cdp Reti (allo Stato cinese), controllata di Cassa Depositi e Prestiti che ha quote rilevanti in altre aziende strategiche come Terna, Snam e Italgas. Ora, visti i prezzi di mercato che impongono di rimandare la seconda fase della cessione di Poste, i privatizzatori si fregano le mani davanti alla controllante: Cassa Depositi e Prestiti.
Cdp ha una storia centenaria di raccolta e reinvestimento del risparmio postale sia nei grandi settori produttivi del Paese che in un’ottica di sostegno agli investimenti degli Enti locali e dello Stato. Detiene oltre 400 miliardi di attivo e 250 miliardi di risparmi dei cittadini italiani. Cedere un altro 15% di quote ai privati, dopo il 15% passato in mano alle fondazioni bancarie, significherebbe modificare completamente la struttura e i rapporti di forza interni al Consiglio di amministrazione.
Se consideriamo poi che l’offerta di acquisto sarebbe aperta anche a fondi e investitori esteri, siamo di fronte al concreto pericolo che il risparmio degli italiani venga presto gestito da attori economici del tutto svincolati dal controllo popolare, con il rischio che anche la garanzia di Stato sui depositi venga a mancare. Tutto per pagare 5 miliardi ai detentori dei nostri titoli di Stato su un totale di più di 2200 miliardi di euro. Quest’ultimi peraltro non vanno azzerati, come fossero debito privato, ma semplicemente rifinanziati (roll-over) come è sempre stato e come sempre sarà. Ciò che conta non è il valore assoluto del debito ma il rapporto debito/Pil, e questo è sempre stato reso sostenibile in tempo di pace attraverso la crescita e l’inflazione.
Mettiamo fine al suicidio nazionale delle privatizzazioni e proteggiamo la nostra ultima azienda pubblica strategica dagli appetiti dei soliti noti.